22 May, 2025 - 16:23

Le identità LGBTQIA+ e il linguaggio inclusivo: guida pratica e errori da evitare

In collaborazione con
Simona Ledda
Le identità LGBTQIA+ e il linguaggio inclusivo: guida pratica e errori da evitare

In un’epoca in cui comunicare è facile ma comprendere davvero lo è un po’ meno, parlare in modo inclusivo non è più un optional: è una responsabilità. Le parole che scegliamo non sono mai neutre. Hanno il potere di accogliere o escludere, costruire o distruggere. E quando si parla di identità, orientamento sessuale e genere, il linguaggio diventa uno strumento fondamentale di rispetto e consapevolezza.

LGBTQIA+: cosa significa davvero?

Partiamo da qui, da un acronimo che spesso leggiamo ma non sempre comprendiamo fino in fondo. LGBTQIA+ è molto più di una sigla: è un insieme di esistenze, storie, battaglie e orgoglio di persone che per troppo tempo sono state marginalizzate o completamente ignorate.

  • L sta per Lesbiche
  • G per Gay
  • B per Bisessuali
  • T per Transgender/Transessuali
  • Q per Queer (chi rifiuta le etichette rigide legate a genere e orientamento)
  • I per Intersessuali
  • A per Asessuali
  • E il +? Include tutte le altre identità e sfumature che non rientrano nelle categorie precedenti, come le persone non binarie, pansessuali, genderfluid e tante altre.

Parlare correttamente di queste identità significa dare spazio a storie, esistenze e vissuti reali, non semplici etichette.

Identità di genere ≠ Orientamento sessuale 

Uno degli errori più comuni è confondere identità di genere e orientamento sessuale, ma si tratta di due concetti completamente distinti: L’identità di genere riguarda chi sei: come ti percepisci e ti definisci rispetto al genere. Puoi sentirti uomo, donna, entrambi, nessuno dei due o qualcosa di diverso, indipendentemente dal sesso biologico assegnato alla nascita. L’orientamento sessuale, invece, riguarda chi ami o da chi sei attratto. È legato all’attrazione romantica, sessuale o affettiva che provi verso altre persone. Sono due dimensioni separate ma spesso intrecciate nella percezione comune. In realtà, sia le persone cisgender (che si riconoscono nel genere assegnato alla nascita), sia le persone non binarie, possono essere attratte da uomini, donne, entrambi o da nessuno.

 L’identità di genere non determina l’orientamento sessuale, e viceversa. Capire questa differenza è fondamentale per non fare confusione e per rispettare davvero le persone per ciò che sono.

Transgender, transessuale, cisgender e identità fluida: facciamo chiarezza

Anche qui, è questione di parole – e di rispetto. Transgender è un termine ombrello che indica le persone la cui identità di genere non coincide con il sesso assegnato alla nascita. Riguarda l’identità, non il corpo. Il termine transessuale è storicamente usato per descrivere persone che hanno intrapreso (o desiderano intraprendere) un percorso medico, ormonale o chirurgico di transizione. Tuttavia, è considerato da alcuni un termine datato o legato a un linguaggio medico-clinico. Chi si identifica nel genere assegnato alla nascita è detto cisgender.

E poi ci sono le persone non binarie, che non si riconoscono pienamente né come uomini né come donne. Possono sentirsi entrambe le cose, nessuna, o qualcosa di fluido. Anche in questo caso, alcune persone non binarie si identificano come transgender, altre no. È importante non dare nulla per scontato e ascoltare come ogni persona si definisce. Coming out ≠ Outing: due parole, due mondi Un errore ancora troppo frequente è confondere il coming out con l’outing. Ma tra i due c’è una differenza abissale.

Il coming out è un atto libero e personale. È quando una persona decide di condividere con gli altri la propria identità sessuale o di genere. È un momento intimo, a volte liberatorio, a volte delicato. Ma soprattutto: è una scelta che spetta solo alla persona in questione. L’outing, invece, è una forma di violenza psicologica che può avere conseguenze gravi. È quando qualcun altro rivela pubblicamente l’identità di una persona senza il suo consenso. Morale?

Il coming out è un diritto, non un dovere. E fare outing è una grave mancanza di rispetto.

Perché il linguaggio inclusivo è così importante?

Perché le parole creano realtà. Quando usiamo espressioni stereotipate o diamo per scontato che tutte le persone siano eterosessuali o cisgender, stiamo di fatto escludendo chi non rientra in questi standard. Frasi come “tutti gli uomini devono rispettare la donna” sembrano innocue, ma invisibilizzano chi non si identifica nel binarismo uomo/donna. Iniziare a parlare in modo più neutro o inclusivo non significa stravolgere la lingua, ma ampliare lo sguardo e includere chi finora è stato lasciato fuori. Le parole costruiscono mondi Quando una persona trans viene sistematicamente chiamata con il pronome sbagliato, quel gesto si chiama misgendering. E può ferire, invalidare, isolare. Quando ridiamo di un coming out, lo banalizziamo. Quando usiamo "gay" come insulto, perpetuiamo l’omofobia.

Il linguaggio non è solo forma: è sostanza. È uno strumento potente per cambiare la cultura, una parola alla volta. Ogni giorno abbiamo l’occasione di usare le parole come semi, per far crescere rispetto, consapevolezza e inclusione. Non serve essere esperti per iniziare a usare un linguaggio più rispettoso: basta ascoltare, fare attenzione, essere disposti a imparare. Ogni parola che scegliamo può essere un ponte o un muro. 

E oggi più che mai, abbiamo bisogno di costruire ponti.

A cura di Simona Ledda

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