Il fascino c'è, è innegabile. Il cast brilla. Le atmosfere sono da copertina. Ma "Sirens", la nuova miniserie Netflix creata da Molly Smith Metzler (già autrice di "Maid"), divide la critica americana sin dal primo fotogramma. E non in senso positivo.
Mentre oggi, 22 maggio, la serie debutta anche in Italia - e la stampa nostrana, per ora, tace in attesa di vederne l’impatto - le prime impressioni arrivate dagli Stati Uniti oscillano tra l'entusiasmo per le performance e la frustrazione per una narrazione che, a detta di molti, implode su se stessa.
La testata californiana non usa mezzi termini. In una lunga e articolata recensione, The Hollywood Reporter bolla "Sirens" come un "porno dell’opulenza instabile" - definizione che, da sola, meriterebbe un Emmy per il miglior insulto velato.
L’analisi non manca di ironia (e severità). Per la testata, Metzler mescola satira sociale, thriller, dramma familiare e fiaba mitologica, ma senza riuscire a trovare un tono coerente. Il risultato? Un ibrido disorientante, dove la regia - soprattutto nei primi episodi - cerca di reggere l’ambizione visiva ma finisce per arrancare quando il gioco si fa serio.
Questo, intanto, il trailer della miniserie:
Certo, il cast regala momenti di grazia: Julianne Moore è magnetica, Meghann Fahy carismatica, Milly Alcock si muove con sicurezza tra due mondi - reale e mitologico - che raramente si fondono davvero. Ma tutto questo talento, secondo THR, è sprecato in un racconto che vuole dire troppo e finisce per dire troppo poco.
La colpa? Un'estetica invadente che diventa quasi una parodia di sé stessa. Satira sì, ma senza mordente. Dramma sì, ma con i freni tirati. Ironia sì, ma più formale che sostanziale. Il riferimento alla mitologia greca è onnipresente, ma mai pienamente assorbito nella narrazione.
Più indulgente è la lettura di ScreenRant, che riconosce il valore delle interpretazioni e una certa originalità nell'approccio. Fahy e Alcock vengono elogiate per la chimica tra sorelle tormentate, mentre Julianne Moore convince come leader carismatica di una setta mondana che sembra uscita da "Big Little Lies" sotto acido.
La serie parte bene, dicono, tra misteri intriganti e tensioni familiari credibili. Ma il passo si fa incerto già a metà corsa. Il tono - un dark comedy di stampo teatrale - viene progressivamente abbandonato in favore di un melodramma da soap patinata, con risultati altalenanti.
I am so disappointed with #Sirens. So much lesbian tension that goes nowhere. Great performances though but I feel absolutely baited. Stay for the drama, not the sapphic. It had so much potential for all of us. Could have been a great queer drama. Really bummed.
— LGBT Daily (@theLGBTdaily) May 22, 2025
Il finale, in particolare, lascia l’amaro in bocca: molti fili narrativi sembrano tagliati con l’accetta, altri vengono liquidati con battute che avrebbero meritato interi archi narrativi. Insomma, una serie che sembra voler esplorare troppo in troppo poco tempo.
Eppure, ScreenRant concede a "Sirens" un’onesta pagella: buona quando si lascia andare alla comicità surreale (vedi la battuta sulla "conservazione dei rapaci" come metafora matrimoniale), meno convincente quando cerca di emozionare sul serio.
Con l'uscita italiana prevista proprio per oggi, resta da capire come "Sirens" verrà accolta nel nostro panorama critico. Il suo linguaggio visivo ricercato, il mix di ironia e tragedia, la critica sociale mascherata da fiaba gotica: sono elementi che potrebbero trovare terreno fertile, soprattutto tra chi ha apprezzato "The White Lotus", "Nine Perfect Strangers" o "The Idol".
— out of context the white lotus (@oocwhitelotus) May 6, 2025
Ma attenzione: se il pubblico cerca coerenza narrativa, potrebbe restare spiazzato. Se invece si lascia sedurre dall’ambiguità, dalla tensione tra parodia e allegoria, "Sirens" potrebbe diventare una piccola serie cult.
Nel dubbio, meglio guardarla tutta d’un fiato: sono solo cinque episodi. E, se non altro, vale la pena per vedere Julianne Moore liberare un falco dalla scogliera. Anche solo per quello.