Il granchio blu (Callinectes sapidus), originario delle coste atlantiche americane, è ormai una delle specie aliene più invasive del Mediterraneo. La sua presenza nelle lagune e nei litorali italiani, soprattutto nell’Alto Adriatico e in particolare tra Goro e Comacchio, ha provocato danni ingenti agli ecosistemi e all’economia della pesca. Ma qual è la situazione attuale e quali strategie sono state messe in campo per arginare il fenomeno?
La proliferazione del granchio blu è stata favorita dal riscaldamento delle acque e dall’assenza di predatori naturali nei nostri mari. Questo crostaceo, vorace e resistente, si nutre di vongole, cozze, uova e piccoli pesci, mettendo in ginocchio la produzione di molluschi e compromettendo la biodiversità locale. Nella Sacca di Goro, area simbolo della molluschicoltura italiana, si sono registrate perdite fino al 70% delle vongole di taglia commerciale, con pesanti ripercussioni per oltre 1.700 addetti e per il 55% della produzione nazionale di vongole.
Secondo le stime più recenti, i danni economici sono raddoppiati rispetto ai 100 milioni di euro stimati a metà 2024, rendendo necessaria una risposta coordinata e straordinaria da parte delle istituzioni.
Il governo italiano ha varato un Piano nazionale di contrasto al granchio blu per il biennio 2025-2026, con una dotazione di 10 milioni di euro, a cui si aggiungono fondi regionali e ulteriori risorse stanziate negli anni precedenti. Il piano, coordinato dal Commissario straordinario Enrico Caterino, coinvolge Ministero dell’Agricoltura, Ministero dell’Ambiente, ISPRA, CNR, CREA, Capitanerie di Porto e gli enti territoriali delle regioni più colpite.
Le principali misure adottate comprendono:
Oltre agli interventi di emergenza, si stanno sperimentando strategie innovative e sostenibili:
Nonostante l’impegno e i progressi, la lotta al granchio blu resta complessa. Gli esperti avvertono che l’eradicazione totale è ormai impossibile: l’obiettivo realistico è la gestione della specie e il raggiungimento di un nuovo equilibrio ecologico. Solo il 10% dei granchi catturati è attualmente utilizzabile sul mercato, mentre il resto deve essere smaltito con costi non indifferenti. Inoltre, l’efficacia delle nuove tecnologie di cattura e delle strategie di ripopolamento dovrà essere verificata sul campo nei prossimi anni.