L’escalation militare tra Israele e Iran, con attacchi reciproci e tensioni crescenti nel cuore del Medio Oriente, ha riacceso i riflettori sugli effetti che i conflitti geopolitici possono avere sui mercati energetici globali e, di riflesso, sulle tasche degli italiani. In un contesto già segnato da incertezze economiche e da una transizione energetica non ancora compiuta, la domanda è inevitabile: la guerra tra Israele e Iran farà aumentare benzina e bollette in Italia?
Il Medio Oriente, e in particolare il Golfo Persico, rappresenta uno snodo fondamentale per la produzione e l’esportazione di petrolio e gas a livello mondiale. L’Iran, coinvolto direttamente nel conflitto, produce circa il 4% del greggio mondiale e detiene il 9% delle riserve globali. Attraverso lo Stretto di Hormuz, passano ogni giorno oltre 20 milioni di barili di petrolio, ovvero più del 20% del commercio mondiale di oro nero, e una quota significativa di gas naturale liquefatto. Qualsiasi minaccia a questa rotta strategica si riflette immediatamente sui prezzi internazionali di petrolio e gas.
Dopo l’attacco israeliano in Iran del 13 giugno 2025, i mercati hanno reagito con un aumento repentino dei prezzi delle materie prime energetiche: il Brent è salito del 10%, attestandosi intorno ai 75 dollari al barile, mentre il prezzo del gas naturale ad Amsterdam è cresciuto del 4%, toccando quota 37,60 euro al megawattora. In Italia, il prezzo medio della benzina in modalità self è passato da 1,704 a 1,706 euro al litro, mentre il diesel è aumentato di tre centesimi, fino a 1,604 euro/litro.
L’Italia importa oltre il 90% del gas naturale e il 95% del petrolio che consuma, rendendola uno dei Paesi europei più vulnerabili alle fluttuazioni dei prezzi energetici internazionali. Circa il 40% della produzione elettrica nazionale dipende dal gas, il che significa che ogni aumento del costo di questa materia prima si riflette direttamente sulle bollette di famiglie e imprese.
Un incremento del 10-15% dei prezzi del gas potrebbe spingere il costo dell’elettricità da 120-150 euro per megawattora a 140-180 euro, con un impatto diretto sulle bollette delle imprese e delle famiglie. Secondo il Centro studi di Unimpresa, se le tensioni dovessero prolungarsi, il rincaro medio delle materie prime energetiche potrebbe arrivare al 20% rispetto ai valori del 2024, traducendosi in un aumento dei costi per le imprese italiane di circa 10,5 miliardi di euro all’anno, di cui oltre 6 miliardi graverebbero sulle piccole e medie imprese.
Il comparto dei trasporti è tra i più colpiti: l’aumento stimato di 10-15 centesimi al litro per diesel e benzina comporta per una flotta media di 50 camion un aggravio annuo tra i 200.000 e i 300.000 euro. Questi rincari rischiano di essere trasferiti sui prezzi finali dei beni, alimentando l’inflazione e comprimendo il potere d’acquisto delle famiglie italiane.
Gli analisti sottolineano che, se il conflitto dovesse restare circoscritto a Israele e Iran, senza coinvolgere altri grandi produttori della regione e senza danni alle infrastrutture petrolifere, gli effetti sui prezzi potrebbero essere contenuti e temporanei. Tuttavia, il rischio di una crisi prolungata o di un blocco dello Stretto di Hormuz resta concreto e potrebbe innescare una spirale di rincari ben più significativa.
Negli ultimi anni, l’Italia ha diversificato le proprie fonti di approvvigionamento, aumentando le importazioni di gas liquefatto da Stati Uniti e Qatar e rafforzando i flussi dai gasdotti del Nord Africa e dall’Azerbaigian. Le riserve strategiche di gas, riempite al 90%, offrono una certa protezione contro shock temporanei. Tuttavia, eventuali misure di sostegno pubblico, come sgravi fiscali o tetti ai prezzi, avrebbero un impatto sul bilancio statale già gravato dal debito.