Acquisire la proprietà di un bene semplicemente attraverso il suo utilizzo prolungato e indisturbato è un concetto che affascina e, allo stesso tempo, solleva numerosi dubbi, soprattutto quando a essere coinvolti sono membri della stessa famiglia.
Parliamo dell’usucapione, un istituto giuridico che consente di diventare proprietari di un immobile dopo un periodo di possesso continuo e pacifico, generalmente di 20 anni. Tuttavia, quando il bene in questione appartiene a un familiare, la situazione si complica.
In questo articolo cercheremo di fare chiarezza su come funziona l’usucapione, quali sono i requisiti previsti dalla legge, i tempi necessari e le procedure da seguire. Ma soprattutto risponderemo a una domanda cruciale: è possibile usucapire un bene appartenente a un parente? La risposta non è scontata.
Vivere per vent’anni in una casa non basta, di per sé, per diventarne proprietari. Questo vale ancora di più se l’immobile è di un familiare. Prendiamo un caso molto comune: un padre che lascia al figlio la casa di proprietà per aiutarlo, senza chiedere affitto né mettere per iscritto nulla.
Anche dopo decenni, quel figlio non potrà automaticamente usucapire l’immobile, perché il suo possesso si basa su una concessione dettata da un rapporto di parentela e, quindi, su una semplice tolleranza.
In termini legali, la tolleranza è un ostacolo fondamentale all’usucapione. Se il vero proprietario accetta in silenzio che un parente utilizzi il bene (magari perché si fida o vuole aiutarlo) allora non si può parlare di un possesso utile per acquisire la proprietà. E più stretto è il legame familiare, più diventa difficile dimostrare che si sia trattato di un uso esclusivo e non di una semplice ospitalità prolungata nel tempo.
Diverso, invece, è il caso in cui il proprietario si disinteressa completamente del bene per anni, magari perché si è trasferito all’estero e non ha mai più dato notizie né rivendicato la casa. Se il nipote che vi abita inizia a gestirla come fosse sua (pagando le tasse, effettuando lavori di manutenzione straordinaria, impedendo ad altri l’accesso) allora si può iniziare a parlare di usucapione. Ma serviranno prove concrete.
Questo principio non vale solo per i parenti. Anche tra amici o vicini, se il possesso nasce da un gesto di disponibilità, non c’è spazio per l’usucapione. Tuttavia, come ha spiegato la Corte d’Appello di Roma in una recente sentenza (n. 1583/2023), nei rapporti di semplice amicizia è meno probabile che la tolleranza duri per decenni, e quindi, col passare del tempo, è più facile che venga riconosciuta la volontà di agire come un vero proprietario.
La regola d’oro? L’usucapione tra parenti non è impossibile, ma dimostrarla è molto più complicato. Serve provare che non c’era solo tolleranza, ma un reale disinteresse del proprietario e un comportamento esclusivo e continuativo da parte di chi vive nell’immobile.
Tra l'altro, occorre prestare molta attenzione all'interruzione dell'usucapione, che segue regole particolari tra civile e naturale.
Nel caso di una comunione ereditaria (come quando più fratelli si ritrovano comproprietari della casa di famiglia) il fatto che uno solo di loro utilizzi l’immobile non basta, da solo, per far scattare l’usucapione.
La legge, infatti, riconosce a ciascun coerede il diritto di godere del bene, e il semplice possesso non è sufficiente a trasformarsi in proprietà esclusiva.
Affinché si possa parlare davvero di usucapione, è necessario un comportamento che escluda in modo evidente gli altri eredi.
Ad esempio, si pensi a una sorella che, dopo essere andata a vivere nella casa ereditata, affitti alcune stanze a terzi senza consultare gli altri coeredi, incassando i canoni per sé e impedendo ai fratelli di accedere all’immobile o di prendere parte alla gestione.
In casi come questo, si manifesta una volontà chiara di agire come unica proprietaria: è proprio questo genere di atteggiamenti che può dare il via al processo di usucapione.
L’usucapione tra parenti è possibile, ma difficile da dimostrare: il semplice utilizzo di un immobile non basta, soprattutto se nasce da un rapporto familiare. Serve provare un possesso esclusivo e non frutto di mera tolleranza.
Il disinteresse del proprietario è determinante: se il titolare del bene si disinteressa completamente dell’immobile (es. si trasferisce all’estero e non ne rivendica l’uso), l’usucapione può essere ipotizzabile, ma servono prove forti.
In caso di beni in comunione ereditaria: l’uso esclusivo del bene da parte di un coerede non è sufficiente. Bisogna dimostrare che gli altri siano stati concretamente esclusi, ad esempio impedendo loro l’accesso o gestendo il bene come unico proprietario.