Molti pensionati guardano al 2026 con la speranza di un aumento dell’assegno mensile. Tuttavia, l’adeguamento automatico delle pensioni legato all’inflazione potrebbe non soddisfare le aspettative: il meccanismo della perequazione, seppur pensato per garantire il potere d’acquisto, rischia di rivelarsi meno efficace del previsto.
Non sorprende, quindi, che tra dubbi e stime incerte cresca l’apprensione. Anche se la perequazione è progettata per tutelare il valore reale delle pensioni nel tempo, l’effetto concreto potrebbe essere inferiore a quanto atteso, soprattutto per alcune fasce di reddito.
C’è un dato di fatto che non può essere ignorato: le proiezioni per il 2026 mostrano che i benefici saranno tutt’altro che uniformi. Alcuni pensionati vedranno aumenti sensibili, altri invece rischiano di restare al palo. Questa differenziazione, legata al reddito e alla struttura del meccanismo di adeguamento, rischia di passare sotto traccia nel dibattito pubblico.
Ogni anno le pensioni vengono aggiornate in base all’andamento del costo della vita. Questo significa che, quando i prezzi aumentano a causa dell’inflazione, anche l’importo delle pensioni cresce per mantenere il potere d’acquisto dei pensionati ed evitare che chi ha redditi bassi si impoverisca.
Il meccanismo che regola questi adeguamenti si chiama perequazione (o “rivalutazione”) e funziona così: se l’inflazione cresce, ad esempio del 2%, anche le pensioni e altri trattamenti economici previdenziali vengono aumentati di una percentuale simile.
Tuttavia, è importante sottolineare che non si materializza un effetto domino sulle pensioni: l’aumento non è uguale per tutti, ma varia in base all’importo del trattamento. Per questo motivo, alcuni pensionati vedranno aumenti di qualche decina di euro, mentre per le pensioni più alte l’incremento sarà più contenuto.
La preoccupazione riguardo a un aumento limitato per il 2026 nasce dal fatto che nel 2023 l’inflazione ha raggiunto livelli record, con un +8,1%, che ha portato a un forte aumento delle pensioni. Per il 2026, invece, si prevede un aumento più moderato, tra l’1,6% e l’1,8%, grazie al controllo dell’inflazione.
Secondo quanto anticipato nel Documento di Economia e Finanza (DEF), per il 2025 è previsto un tasso d’inflazione attorno al 2,1%. Questo dato incide direttamente sulla rivalutazione delle pensioni, ma gli aumenti variano in base agli scaglioni di reddito.
Gli incrementi previsti per il 2026 saranno differenziati: più bassa è la pensione, maggiore sarà la protezione contro l’inflazione; al contrario, per gli assegni più alti, l’aumento sarà proporzionalmente più contenuto, in particolare:
Il trend mostra quindi che più basso è l’importo della pensione, maggiore è la percentuale di aumento prevista; viceversa, le pensioni più alte ricevono un incremento percentuale minore.
Come riportato da money.it, le pensioni più basse, cioè quelle percepite da chi riceve importi molto contenuti ogni mese, avranno un piccolo aumento nel 2026.
Parliamo delle pensioni minime, dell’assegno sociale e delle pensioni per invalidità civile. In alcuni casi, il Governo potrebbe inoltre aggiungere un bonus speciale per aiutare chi ha più difficoltà economiche.
Ecco come cambieranno gli importi:
Chi vive con una pensione molto bassa, cioè con poche centinaia di euro al mese, continua a incontrare molte difficoltà. Questi piccoli aumenti non risolvono completamente i problemi, ma anche qualche euro in più può fare la differenza: ogni moneta conta, soprattutto quando si ha poco.