Ogni estate ha i suoi suoni, i suoi ritornelli martellanti e quei brani che sembrano spuntare ovunque: dalle spiagge ai supermercati, passando per le stories di Instagram. Ma nel 2025, la domanda sorge spontanea: i tormentoni esistono ancora o sono diventati prodotti preconfezionati da piattaforme digitali?
Negli anni '90 e 2000 bastava un ritornello semplice, una melodia orecchiabile e un po’ di passaggi radio per consacrare una canzone come hit estiva. Oggi, invece, i meccanismi sembrano molto più strategici. E spesso, molto meno spontanei.
L’algoritmo comanda la musica
Spotify, TikTok, Instagram Reels e YouTube Shorts sono i nuovi DJ dell’estate. In pochi secondi una canzone può diventare virale, a patto che abbia le caratteristiche giuste per l’algoritmo: un intro immediato, un hook entro i primi 10 secondi e una durata che raramente supera i 2 minuti e mezzo.
Le case discografiche lo sanno, e commissionano brani costruiti apposta per “funzionare” sui social: beat semplici, testi ripetibili e la possibilità di agganciare una coreografia o una challenge.
Non è un caso se molti brani che dominano le classifiche di oggi sembrano fatti con lo stampino. O meglio: con un prompt per l’intelligenza artificiale.
Tutto troppo simile? L’era del suono preconfezionato
Il “TikTok sound” è ormai una categoria a sé. Le hit si somigliano: clap regolari, voci pitchate, strofe brevi e un drop pronto per far partire il balletto virale. La creatività sembra sacrificata sull’altare dell’efficacia.
Molti utenti – e critici musicali – sottolineano la crescente “piattezza emotiva” di questi brani, dove la melodia serve solo a supportare un trend visivo. Il rischio? Un’estate musicale che si dimentica in fretta, perché non lascia un segno autentico.
Quando il pubblico si ribella (o si adatta)
Eppure, non tutto è scritto nel codice. Ogni tanto, una canzone emerge in modo meno programmato e conquista tutti, proprio perché diversa: un sample anni 2000, un ritmo non convenzionale, un testo in dialetto. La nostalgia, ad esempio, è un’arma potente: il ritorno dell’Italo dance o i riferimenti Y2K funzionano anche perché sanno di “vero”.
La Gen Z, da parte sua, ha imparato a giocare con questi tormentoni: li balla, li remix, li meme-izza. Li consuma, pur sapendo che sono artificiali. È l’ironia che salva anche le canzoni più prevedibili.
Un’estate costruita per l’engagement
Sempre più spesso, i tormentoni non nascono per essere ascoltati, ma per accompagnare un contenuto: uno spot, una transizione video, una sponsorizzata. Il brano è un “mezzo”, non un fine. E il successo si misura in view, non in emozioni.
Questo ha cambiato profondamente anche l’approccio dell’industria musicale: si cercano trend, non talenti. La viralità conta più dell’identità. E mentre molti artisti emergenti inseguono il prossimo suono virale, chi cerca profondità spesso resta ai margini delle classifiche.
Tormentoni 2025: successo popolare o solo strategia digitale?
L’estate 2025 si gioca tra nostalgia e novità, tra spontaneità e strategia. I tormentoni esistono ancora, ma non sono più quelli di una volta: sono strumenti di engagement, prodotti da algoritmi e pensati per le piattaforme prima ancora che per le persone.
Eppure, dietro il loop perfetto e il balletto virale, resta intatta la voglia di cantare a squarciagola un ritornello in macchina, in spiaggia o sotto le stelle. Forse, anche in mezzo a bit calcolati al millisecondo, c’è ancora spazio per una hit che sorprende davvero.
In collaborazione con Jessica Mirabello