Entrare in un nuovo ambiente lavorativo non è facile. Conoscere i propri colleghi rispettando i loro spazi e il modo di gestire le cose richiede grande abilità e pazienza. Tuttavia, ci sono situazioni in cui l’atmosfera lavorativa è altamente tossica: quanto bisogna sopportare prima di denunciare?
Il termine "mobbing" deriva dall’inglese to mob, che significa attaccare o aggredire. In ambito psicologico, indica una forma di abuso sistematico, messo in atto da un singolo o da un gruppo, con l’obiettivo di colpire, isolare ed emarginare la vittima. Nel linguaggio comune e giuridico, il mobbing è associato soprattutto all’ambiente di lavoro.
Le sue forme principali si distinguono in base alla posizione gerarchica degli aggressori e della vittima:
- Mobbing verticale discendente: quando le vessazioni provengono da un superiore o dal datore di lavoro.
- Mobbing verticale ascendente: quando è un subordinato a mettere in atto comportamenti ostili verso un superiore.
- Mobbing orizzontale: quando gli attacchi provengono da colleghi di pari livello.
Il mobbing spesso si manifesta in modo subdolo, con segnali iniziali che tendono a essere sottovalutati. Tra i primi campanelli d’allarme ci sono critiche immotivate, esclusioni dalle attività del team o l’assegnazione di compiti eccessivi o dequalificanti. Con il tempo, questi comportamenti possono intensificarsi fino a diventare veri e propri atti di aggressione psicologica: offese ripetute, diffusione di voci infondate, isolamento sistematico. Ci si sente sotto una pressione costante senza la possibilità di poter uscirne. I danni possono essere gravi e coinvolgere diversi ambiti:
- Fisico con sintomi come emicranie, gastriti o insonnia
- Psicologico con attacchi di panico, depressione e ansia
- Professionale in quanto si ha una progressiva perdita di fiducia in sé stessi, si provoca un sensibile calo di produttività e si ha difficoltà a reinserirsi in un nuovo contesto lavorativo
Harald Ege, psicologo che studiò per primo il fenomeno del mobbing e propose questo termine al pubblico italiano nel 1995, ha individuato 7 parametri fondamentali per definire il mobbing:
1. L’ambiente di lavoro
2. La frequenza delle azioni mobbizzanti, da una volta alla settimana ad una volta al giorno
3. La durata, tra i 3 e i 6 mesi
4. Il tipo di azione, cioè isolamento sistematico, cambiamenti nelle mansioni lavorative, attacchi alla reputazione e ai contatti coi colleghi, minacce di violenza
5. Dislivello psicologico fra il mobber e il mobbizzato poiché non hanno le stesse capacità di difesa
6. L’andamento in fasi successive e progresso che può arrivare fino al licenziamento o dimissioni volontarie della vittima
7. L’intento persecutorio che deve essere provato quando si denuncia il mobber
In Italia non esiste una normativa specifica che definisca il mobbing come reato autonomo, il che rende il suo riconoscimento e la sua persecuzione giuridica piuttosto complessi. Tuttavia, esistono diversi strumenti normativi attraverso cui è possibile agire.
Il datore di lavoro può essere chiamato a rispondere, ad esempio:
- per violazione dell’art. 2103 del Codice civile, che impone che il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte;
- per violazione dell’art. 2043 Codice civile, che sancisce il principio secondo cui chi causa un danno ingiusto ad altri è tenuto a risarcirlo;
- per inadempimento dell’art. 2087 Codice civile, che obbliga il datore a tutelare l’integrità fisica e psichica del lavoratore, predisponendo tutte le misure necessarie per garantirne la sicurezza sul lavoro.
Il mobbing è una forma di violenza sottovalutata ma con effetti devastanti per chi la subisce. Non tutti possono permettersi di licenziarsi e cambiare lavoro. Parlare di questo fenomeno è un modo di rendere più consapevoli i lavoratori, le aziende e le istituzioni, affinché vengano presi dei provvedimenti per costruire ambienti di lavoro sani, inclusivi e rispettosi.
A cura di Margherita Maurich