Claudio Traina rappresenta uno dei volti e dei nomi simbolo della lotta alla mafia nei primi anni Novanta, vittima della strage di via D’Amelio insieme al giudice Paolo Borsellino e agli altri agenti della sua scorta.
Uomo riservato ma fortemente devoto al servizio dello Stato, la sua storia è esempio di dedizione, coraggio e senso del dovere.
Nato a Palermo il 2 settembre 1965, Claudio era l’ultimo di sei fratelli e faceva parte di una famiglia numerosa e molto unita, fortemente radicata nel capoluogo siciliano.
Sin da piccolo fu influenzato dalla scelta di vita del fratello maggiore Luciano, entrato in Polizia nel 1972.
Crescere in una Palermo segnata dalla presenza della mafia e vedere l’impegno del fratello nel servire la collettività forgiarono in lui una vocazione profonda verso la legalità e il servizio alla comunità.
Claudio Traina era sposato e all’epoca della sua morte aveva un figlio piccolo, Dario, che aveva undici mesi nel luglio 1992.
Il nucleo familiare rappresentava per Claudio un rifugio di serenità e affetto. Il dolore della perdita fu particolarmente straziante per la giovane moglie e il figlio, privati dell’amore e del sostegno di un marito e padre premuroso, ma anche per tutti i familiari che avevano condiviso con lui i valori della giustizia e della solidarietà.
Dopo il servizio militare nell’Aeronautica, Claudio decise di seguire le tracce del fratello Luciano e si arruolò giovanissimo nella Polizia di Stato. Frequentò il corso di formazione ad Alessandria e fu poi assegnato alla Squadra Volanti di Milano, quindi alla sede di Sesto San Giovanni.
Incarichi impegnativi che Claudio svolse con estrema serietà e professionalità, pur nutrendo un forte desiderio di tornare nella sua Palermo, la città di origine alla quale era particolarmente legato.
Dopo aver ottenuto il trasferimento, fu assegnato all’ufficio scorte della Questura di Palermo nel 1990, entrando a far parte di un nucleo altamente specializzato e motivato. Qui avrebbe svolto il delicato compito di proteggere magistrati e personalità esposte ai rischi delle azioni mafiose.
Lavorare come “agente della scorta” a Palermo negli anni della guerra di mafia significava esporsi quotidianamente a gravi pericoli, ma Claudio non si tirò mai indietro, animato da un profondo senso del dovere e dalla consapevolezza di contribuire a una causa giusta.
Il 19 luglio 1992, data che segna una delle pagine più tragiche della storia italiana, Claudio Traina muore nella strage di via D’Amelio.
Quella domenica pomeriggio si trovava accanto a Paolo Borsellino e ai colleghi Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli e Walter Eddie Cosina quando un’autobomba esplose al civico 21 di via Mariano D’Amelio, sotto l’abitazione della madre del magistrato.
L’attentato fu di una violenza inaudita e segnò profondamente l’Italia intera: perse la vita Borsellino, insieme ai cinque agenti che, consapevoli dei pericoli del loro compito, non avevano mai fatto mancare la loro presenza e dedizione.
Per il suo coraggio e l’estremo sacrificio, Claudio Traina è stato insignito della Medaglia d’Oro al Valor Civile alla memoria: “Assolveva il proprio compito con grande coraggio e assoluta dedizione al dovere.
Barbaramente trucidato in un proditorio agguato di stampo mafioso, sacrificava la vita a difesa dello Stato e delle Istituzioni”. La sua testimonianza resta un esempio luminoso di dedizione allo Stato, di integrità personale e di spirito di servizio che, ancora oggi, ispira le generazioni a non dimenticare e a lottare per la giustizia.
Claudio Traina riposa oggi nel Cimitero di Santa Maria di Gesù a Palermo. Il suo nome vive nella memoria collettiva come simbolo di coraggio silenzioso e sacrificio, valori fondamentali per la democrazia.