Negli Stati Uniti il dibattito sull’immigrazione ha vissuto una svolta con la creazione di un nuovo e controverso centro di detenzione: Alligator Alcatraz.
Voluto dall’amministrazione Trump e dal governatore della Florida Ron DeSantis, questo carcere per migranti ha catalizzato l’attenzione internazionale per posizione geografica, filosofia della sicurezza e condizioni di vita dei detenuti.
Alligator Alcatraz sorge nel cuore delle Everglades, la vasta zona paludosa della Florida nota per la biodiversità e il paesaggio
selvaggio. Il centro è stato allestito sull’ex Dade-Collier Training and Transition Airport, una pista aeroportuale abbandonata e circondata da oltre 100km² di natura incontaminata, in particolare aree infestate da alligatori, pitoni e altri animali selvatici.
La posizione remota è parte integrata della sua funzione: la struttura dista circa 70km dal centro di Miami, in una regione facilmente raggiungibile solo dalla Tamiami Trail (U.S. Route 41). La scelta logistica punta sull’isolamento assoluto: chi tenta la fuga deve affrontare paludi e un ecosistema ostile, con la fauna locale come barriera supplementare.
Il nome “Alligator Alcatraz” unisce due elementi: l’inospitalità delle Everglades popolate dagli alligatori e il riferimento alla famigerata prigione di Alcatraz nella baia di San Francisco, conosciuta per la sua presunta inespugnabilità e la vicinanza dell’acqua come ostacolo naturale alle evasioni.
Il nome è stato ufficializzato dal procuratore generale della Florida, James Uthmeier. Secondo la narrazione politica, gli alligatori e i pitoni fungono da “barriera naturale gratuita”, riducendo la necessità di sorveglianza tradizionale. L’uso del brand “Alcatraz”, inoltre, amplifica il messaggio deterrente: un luogo dal quale è impossibile fuggire, destinato a restare impresso nell’immaginario collettivo e a sottolineare la fermezza della politica migratoria.
La struttura, eretta in poco più di una settimana grazie all’attivazione dei poteri di emergenza da parte dello Stato della Florida, può ospitare da 3.000 a 5.000 migranti. È composta principalmente da grandi tende bianche, zone recintate con filo spinato, dormitori con letti a castello e container per i servizi di base.
La rapidità di costruzione è stata giustificata dalla necessità di dare una risposta immediata all’afflusso di migranti, con fondi emergenziali federali e statali.
Tra le motivazioni della scelta logistica si evidenzia anche la presenza della pista d’atterraggio: il sito consente rimpatri diretti e la gestione centralizzata dei trasferimenti. La sorveglianza affidata alla Guardia Nazionale e a personale privato è rafforzata dalla geografia ostile.
La gestione quotidiana è però segnata da condizioni difficili: secondo testimonianze di detenuti e guardie, il centro soffre di problemi come carenza di acqua potabile, presenza massiva di zanzare, cibo insufficiente o scadente, scarso accesso alle cure mediche e alle docce, tensioni fra detenuti e personale e allagamenti frequenti per le piogge tropicali estive.
I detenuti sono sottoposti a rigide regole, con giornate passate perlopiù nell’attesa e nella privazione di svaghi, in un clima di forte incertezza sul proprio destino.
Pur essendo stata presentata alla stampa come destinata a “criminali pericolosi”, la realtà della popolazione reclusa ad Alligator Alcatraz è composita. Secondo varie inchieste giornalistiche, la maggior parte dei detenuti sono migranti senza documenti, molti dei quali sono incensurati o colpevoli di violazioni amministrative come la permanenza oltre il visto, il mancato rispetto di procedure burocratiche o piccoli reati.
Una parte dei detenuti ha pendenze penali per reati minori (come guida senza patente, piccoli furti o possesso di droghe leggere), spesso già risolte con il patteggiamento o l’archiviazione. Altri sono richiedenti asilo che, in attesa di una risposta alla loro domanda, sono stati trasferiti nel campo. Vi sono anche stranieri in fuga da contesti di violenza, perseguitati politici e padri di famiglia con situazioni di salute precarie.
Le testimonianze raccolte dai media e dalle associazioni per i diritti umani parlano di una detenzione “inumana e approssimativa”, con diversi casi di malati cronici, bambini separati dalle famiglie, mancanza di trasparenza sui diritti e scioperi della fame come forma di protesta.
La creazione di Alligator Alcatraz rappresenta uno dei capitoli più controversi della stagione migratoria statunitense. In nome della deterrenza e della velocità di esecuzione, la politica migratoria dell’era Trump e DeSantis ha generato una struttura che non solo è simbolo di rigidità legislativa, ma anche di fortissima controversia umanitaria e ambientale. Le proteste degli attivisti e le denunce delle famiglie dei detenuti fanno pensare che il dibattito sull’Alligator Alcatraz sia destinato a restare acceso ancora a lungo.