Nel 2026, i pensionati italiani potrebbero vedere un aumento dell’assegno netto mensile grazie al nuovo taglio dell’Irpef previsto dal governo. La misura, su cui si concentra la riforma fiscale annunciata nella legge di bilancio, punta principalmente a ridurre la pressione fiscale sulle pensioni di fascia medio-alta, alleggerendo l’aliquota Irpef sulla seconda fascia di reddito. Ma chi ne beneficerà davvero e di quanto aumenteranno effettivamente le pensioni?
Il nucleo della riforma è la riduzione della seconda aliquota Irpef dal 35% al 33%. La nuova aliquota sarà applicata sulla fascia di reddito compresa tra 28.000 e 60.000 euro lordi annui. Si tratta di una platea ampia, su cui negli ultimi anni si è progressivamente concentrato il dibattito politico: questo segmento, spesso definito “classe media”, era risultato poco tutelato dalle precedenti manovre, che si erano focalizzate soprattutto sulle pensioni minime e sui redditi più bassi.
Il beneficio fiscale, quindi, riguarda esclusivamente chi dichiara pensioni lorde comprese nell’intervallo indicato. Al contrario, chi percepisce un assegno inferiore a 28.000 euro, già tassato con l’aliquota più bassa del 23%, non registrerà alcun vantaggio da questo intervento.
La riduzione dell’aliquota si tradurrà in un aumento della pensione netta mensile per tutti i pensionati con reddito lordo compreso tra 28.000 e 60.000 euro. Secondo le stime attuali, il vantaggio proporzionale cresce al salire dell’importo, fino a raggiungere il beneficio massimo sulle pensioni più alte della fascia.
Ad esempio:
Per offrire un quadro chiaro, ecco le principali simulazioni legate alla riforma Irpef sulle pensioni nel 2026:
Pensione lorda annua | Aumento netto annuo | Aumento netto mensile |
---|---|---|
60.000€ | 640€ | 53€ |
50.000€ | 440€ | 37€ |
40.000€ | 240€ | 20€ |
Le cifre sono indicative e potranno variare in fase di approvazione definitiva della legge di bilancio, in relazione alle risorse effettivamente disponibili e alla platea dei beneficiari che sarà confermata dal governo.
La riforma lascia invece invariata la tassazione sulle pensioni fino a 28.000 euro, che erano già state oggetto di ritocchi negli anni precedenti: su questi assegni continuerà ad applicarsi l’aliquota agevolata del 23%. Per la fascia di reddito più bassa restano in vigore anche le rivalutazioni legate all’inflazione (perequazione), che nel 2026 porteranno un piccolo incremento legato all’adeguamento del costo della vita (+0,8%): ad esempio, l’assegno minimo salirà da 598,61 a 604,60 euro mensili, ma nessun ulteriore bonus da questa manovra fiscale.
L’intervento si inserisce in una strategia più ampia di sostegno alle pensioni medio-alte, con l’obiettivo dichiarato di offrire maggiore equità e sostenere il potere d’acquisto di chi oggi è spesso “schiacciato” tra tasse e caro vita. Tuttavia, la misura ha già sollevato alcuni dubbi in merito alla sostenibilità finanziaria e all’efficacia sul medio periodo.