Il trattamento fiscale delle vincite, come quelle di Lotto e SuperEnalotto, sia per giocatori occasionali che abituali, non ammette più interpretazioni superficiali. A chiarirlo, in linea con un'analisi approfondita pubblicata su fiscooggi.it, è stata la Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 18172/2025.
La Suprema Corte ha ribadito che la presunzione di imponibilità delle operazioni bancarie può essere superata solo fornendo una prova piena, analitica e specifica della provenienza delle somme presenti sul conto corrente. Non basta più affermare genericamente che i movimenti bancari derivino da una vincita. Oggi, quel rassicurante "Tranquillo, basta dire che quei soldi sono una vincita al Lotto e SuperEnalotto e il fisco non ti toccherà" non vale più. La realtà, come vedremo, è ben diversa e le certezze rischiano di crollare.
Le vincite al gioco possono facilmente finire nel mirino del fisco. Nonostante la gioia di una bella vincita, l'Amministrazione finanziaria adotta un approccio rigoroso nella lotta all'evasione. Per superare la presunzione di imponibilità sui movimenti bancari, è indispensabile fornire una prova certa. Altrimenti, le somme, anche se derivanti da una vincita, potrebbero essere tassate come ricavi non dichiarati o proventi "in nero".
Ma perché tanto rigore sulle vincite al gioco? La risposta è semplice: l'Amministrazione finanziaria segue da vicino l'evoluzione del fenomeno del gioco e le abitudini dei cittadini, tracciando attentamente ogni flusso di denaro. Questo contesto di controllo è stato ulteriormente rafforzato dalla recente sentenza della Cassazione.
Con la sentenza sopra citata, la Cassazione ha chiarito, ancora una volta, che in presenza di movimentazioni anomale sul conto corrente (sia in entrata che in uscita), il contribuente ha l'onere di dimostrare in modo chiaro, preciso e inequivocabile la provenienza delle somme.
Nessuna giustificazione generica o mera dichiarazione personale è sufficiente, neanche nel caso di una presunta vincita al gioco. È richiesta una prova reale e dettagliata che spieghi esattamente la natura non reddituale delle somme contestate, dimostrando che non si tratta di denaro "in nero" o redditi nascosti al Fisco.
Affermare genericamente che i soldi contestati dal fisco "provengono da una vincita al Lotto o SuperEnalotto" non è affatto sufficiente per convincere l'Amministrazione finanziaria, né tantomeno i giudici in caso di contenzioso.
La Cassazione, infatti, ha posto un accento deciso sull'onere della prova, che ricade interamente sul contribuente. Ciò significa che è richiesta una prova completa e specifica per ogni singola operazione bancaria contestata.
Quando il contribuente deve giustificare un movimento di denaro proveniente da una vincita al gioco, la prova inconfutabile richiesta è lo scontrino originale della giocata. Un generico documento bancario, di per sé, non è ritenuto sufficiente.
Lo scontrino, infatti, deve contenere tutti i dati essenziali che attestino la regolarità della vincita: il timbro di ricevuta, l'indicazione di chi ha riscosso la vincita e la destinazione effettiva delle somme.
Il contribuente dovrà, quindi, dimostrare al fisco non solo la natura esatta della fonte del denaro, ma anche fornire documenti ufficiali che attestino come quel denaro è stato incassato e movimentato, seguendone l'intera tracciabilità.
L'assenza di anche solo uno di questi elementi chiave può portare l'Amministrazione finanziaria a considerare il denaro come proventi "in nero" o reddito non tassato, con tutte le conseguenze del caso.
Nel caso esaminato, un promotore finanziario si è trovato sotto la lente dell'Agenzia delle Entrate, accusato di aver nascosto quasi 500 mila euro di redditi. Per difendersi, l'uomo aveva dichiarato che quelle somme provenivano da una vincita al SuperEnalotto del 1999 e che una parente gliele stava restituendo a rate, avendole custodite per lui.
Inizialmente, le cose sembravano andare a suo favore: la Commissione Tributaria Provinciale aveva accolto la sua spiegazione e annullato l'accertamento. In appello, la Commissione Tributaria Regionale aveva comunque ridotto significativamente la cifra contestata, ritenendo in parte provata la tesi difensiva.
La Cassazione, però, ha ribaltato completamente queste decisioni. Ha chiarito che la documentazione presentata dal contribuente era insufficiente: mancavano infatti il timbro di ricevuta, l'indicazione di chi ha incassato la vincita e dove erano state effettivamente destinate le somme. A peggiorare la sua posizione, la stessa parente aveva smentito la versione dell'uomo, dichiarando che i versamenti erano in realtà la restituzione di un prestito personale, e non di una vincita.
Infine, la Corte ha anche evidenziato come, trattandosi di un promotore finanziario, la presunzione di imponibilità si applicasse non solo ai versamenti, ma anche ai prelevamenti non giustificati, per i quali l'uomo non aveva fornito alcuna prova analitica.