Donato Bilancia è stato uno dei serial killer più tristemente celebri della storia criminale italiana. La sua parabola criminale, consumata nell’arco di pochi mesi tra il 1997 e il 1998, ha lasciato un segno indelebile su Liguria e Piemonte, territori attraversati da una serie di omicidi la cui efferatezza e casualità sconvolsero l’opinione pubblica.
Nel corso della sua breve ma devastante carriera da assassino seriale, Donato Bilancia uccise 17 persone. I suoi omicidi furono perpetrati nell’arco di circa sette mesi, dal 16 ottobre 1997 al 6 maggio 1998.
La rapidità e la diversificazione delle vittime – prostitute, pendolari, giocatori d’azzardo, metronotte, cambiavalute – fecero di lui il serial killer con il maggior numero di omicidi in Italia in così poco tempo.
Bilancia non seguiva uno schema fisso nella scelta delle sue vittime; colpiva uomini e donne, giovani e anziani, senza un apparente modus operandi unico, se non la brutale determinazione al gesto omicida e la soddisfazione personale che ne traeva.
Emblematica la descrizione di chi lo definisce un «serial killer missionario» ed «edonista», ossia un assassino che agisce sia per una presunta “missione” sia per puro piacere nell’uccidere.
Il 12 aprile 2000, il Tribunale di Genova lo condannò a 13 ergastoli per i 17 omicidi commessi, oltre a 16 anni di reclusione per il tentato omicidio di July Castro e 3 anni di isolamento diurno.
La sentenza, confermata in appello e in Cassazione, segnò la fine della parabola criminale di Bilancia, che trascorse i primi anni di detenzione nel carcere di Marassi a Genova, poi fu trasferito a Chiavari e infine nella Casa circondariale Due Palazzi di Padova, dove rimase isolato per molti anni a causa delle minacce subite dagli altri detenuti.
Il rapporto malato e conflittuale di Donato Bilancia con le donne trova radici profonde nella sua infanzia e nella sua storia familiare. Molti psichiatri che lo hanno esaminato concordano nel sottolineare una combinazione di traumi, disamore, solitudine e rancore che hanno alimentato la sua ferocia.
La madre lo umiliava pubblicamente appendendo ad asciugare il materasso che Bilancia, da bambino, bagnava ancora di notte anche in età avanzata. Il padre, invece, lo derideva davanti ai parenti per la dimensione del suo organo genitale, coniando soprannomi e alimentando un senso di inadeguatezza e vergogna che il piccolo Donato avrebbe portato con sé per tutta la vita.
Fondamentale, nella costruzione della sua psiche disturbata, è anche il suicidio del fratello maggiore Michele, che si tolse la vita gettandosi sotto un treno stringendo tra le braccia il proprio figlio. In Bilancia, legatissimo a quel nipotino, si radica una miscela di odio e disprezzo verso le donne e, in particolare, verso la cognata, che percepiva come principale responsabile del gesto del fratello.
Questi elementi si intrecciano con altri fattori, come la dipendenza dal gioco d’azzardo, la difficoltà a costruire rapporti sani e un progressivo isolamento sociale.
Nel suo delirio omicida, diverse sue vittime furono prostitute o donne incontrate casualmente sui treni – scelte apparentemente a caso, ma che si inseriscono in una cieca vendetta verso il genere femminile, ritenuto colpevole delle sue frustrazioni e del suo fallimento esistenziale. Come dichiarò egli stesso: «Le donne che uccidevo? Scelte a caso, come carte dal mazzo».
Di fronte agli inquirenti, Bilancia ammise freddamente la serie degli omicidi, senza mai mostrare vero pentimento. La sua storia rimane, per molti, il simbolo inquietante di una rabbia repressa esplosa in modo incontrollabile – e di una società che non ha saputo leggere i segni di un malessere profondo prima che si trasformasse in tragedia collettiva.