Il mistero attorno all’omicidio di Chiara Poggi a Garlasco, avvenuto il 13 agosto 2007, continua a tingersi di nuovi dubbi e ombre. In particolare, alcuni dettagli emersi dalla scena del delitto non solo sollevano interrogativi sulla dinamica, ma alimentano l’ipotesi inquietante della presenza di un secondo assassino. Tra questi, l’impronta di una scarpa nel sangue e una particolare “strisciata” mai debitamente analizzata dal RIS di Parma, insieme a una serie di impronte fantasma: una suola sconosciuta, il piede nudo (forse di una donna) e l’alluce valgo.
Subito dopo il delitto, tra le varie tracce repertate nella villetta della famiglia Poggi, gli inquirenti notarono alcune impronte sanguigne che non coincidevano con le scarpe a pallini (modello Frau numero 42) ricondotte ad Alberto Stasi. Un esperto di balistica e Blood Pattern Analysis, Enrico Manieri, ha sottolineato che uno degli elementi più trascurati fu proprio la diversa tipologia di suola riscontrata vicino alla scala della taverna: non a pallini, ma a risalti rettangolari. Questo dettaglio escludeva che l’impronta appartenesse alle 27 paia di scarpe repertate dalle persone entrate nella casa quel giorno, compresi soccorritori e inquirenti.
Sul primo gradino della scala venne poi individuata un’ulteriore impronta dello stesso tipo, sporca di sangue, accanto a una strisciata lungo lo spigolo della suola: tracce che, secondo Manieri, dimostrerebbero movimenti anomali compatibili con chi ha perso equilibrio scendendo le scale dopo aver compiuto o assistito all’aggressione. Nessuna analisi approfondita fu però svolta su queste impronte, nonostante fossero tra le più “fresche” sulla scena e chiaramente NON riferibili a Stasi.
Uno degli enigmi più dibattuti riguarda la cosiddetta “impronta 33”, visibile sul muro delle scale e attribuita dagli investigatori, con una tracciatura di quindici minuzie dattiloscopiche, alla mano di Andrea Sempio, recente indagato nel caso. Il problema? L’impronta venne tolta dal muro e, a oggi, non si trova più: solo l’analisi della presenza o meno di sangue nella traccia potrebbe chiarire se quella mano si sia sporcata toccando la vittima, ribaltando così la linea difensiva che giustifica la sua presenza con le frequentazioni precedenti nella villetta.
Ad arricchire il puzzle, la “strisciata” lasciata dalla suola, mai adeguatamente repertata né analizzata dai Ris di Parma già nel 2007, e che oggi appare come una pista trascurata verso la comprensione dell’intera dinamica del delitto.
L’aspetto forse più inquietante resta la presenza di un’ulteriore traccia inusuale: un’impronta plantare di piede nudo caratterizzata da una marcata deformazione, il cosiddetto alluce valgo. Tale impronta, come confermato dalla stampa e da fonti investigative, non è mai stata attribuita né a Stasi, né ai parenti della vittima, né ad alcuno dei presenti ufficialmente identificati sulla scena. E non solo: la frequente associazione di questa patologia al genere femminile ha suggerito agli investigatori più sospettosi lo scenario di una presenza femminile, magari coinvolta nell’aggressione, come complice o perfino esecutrice.
Le statistiche mediche rafforzano questa ipotesi: sebbene l’alluce valgo colpisca circa un quarto della popolazione, è molto più diffuso tra le donne, specie quelle abituate a calzature strette o tacchi alti, aprendo la strada a scenari investigativi ancora mai del tutto percorsi.
Secondo Antonio De Rensis, legale della famiglia Stasi, le nuove indagini tendono a rafforzare l’idea che più persone — ciascuna con un proprio ruolo — siano state presenti sulla scena del crimine. L’ipotesi di un’aggressione condivisa, magari orchestrata, si confronta tuttavia con un enorme ostacolo: l’assenza di DNA utile sulle decine di impronte raccolte. Questo fa sì che le prove più suggestive restino, ancora oggi, “fantasmi” di un delitto che non smette di generare domande.
La verità processuale ha incastrato un nome, ma non tutti gli interrogativi. In questo labirinto di dettagli trascurati e impronte ignote, il caso Garlasco continua a sfidare la certezza, lasciando dietro di sé la persistente ombra di un secondo (forse anche terzo) assassino.