01 Aug, 2025 - 13:45

Centri per migranti in Albania, cosa ha deciso la Corte Europea? La reazione del Governo è dura e immediata

Centri per migranti in Albania, cosa ha deciso la Corte Europea? La reazione del Governo è dura e immediata

La Corte di Giustizia Europea ha emesso una sentenza cruciale per la politica migratoria dell’Italia, mettendo in discussione la legittimità del protocollo Italia-Albania per il rimpatrio accelerato dei migranti.

Il cuore della decisione riguarda la definizione di "Paese di origine sicuro": secondo i giudici europei, uno Stato membro dell’UE può classificare un Paese come sicuro solo se garantisce protezione effettiva a tutta la sua popolazione.

La sentenza arrivata oggi – venerdì 1° agosto – dopo dieci mesi di veleni e polemiche politiche, nel corso dei quali lo scontro tra Governo e magistratura ha raggiunto picchi di tensione altissimi.

Il commento di Palazzo Chigi alla decisione dei giudici UE – postato anche da Giorgia Meloni sui suoi canali social – è durissimo

Ecco cosa ha deciso la Corte Europea sui centri per migranti in Albania e la reazione di Palazzo Chigi. 

Cosa dice la sentenza della Corte Europea sui migranti?

La sentenza emessa oggi dalla Corte di Giustizia Europea stabilisce tante cose, ma soprattutto chiarisce il perimetro entro il quale uno Stato membro dell’UE deve muoversi per poter stabilire la sicurezza di un Paese per il rimpatrio di cittadini richiedenti asilo. 

I giudici hanno chiarito che un Paese per poter essere definito sicuro deve garantire protezione sufficiente a tutta la sua popolazione, mettendo in discussione la lista dei Paesi Sicuri stilata dal Governo Meloni e che è alla base dell’attuazione del protocollo Italia-Albania per i migranti. 

La sentenza stabilisce anche un’altra cosa: i governi possono includere – con una legge nazionale - un Paese nella lista di quelli sicuri per il rimpatrio, ma devono basare la loro valutazione su fonti trasparenti e accessibili al richiedente asilo e ai giudici. Infine, i giudici europei stabiliscono che i giudici nazionali hanno la facoltà di controllare che un’eventuale legge nazionale in materia di rimpatri rispetti i criteri UE. La Corte, tuttavia, precisa che tali condizioni sono valide fino all’entrata in vigore del nuovo regolamento UE che modica in parte le norme attuali. 

Una sentenza che ribalta totalmente l’impostazione giuridica e politica del Governo Meloni in merito alla gestione dei rimpatri, e mette in discussione la legittimità dei trasferimenti dei migranti nei centri per il rimpatrio in Albania.

Scontro tra Corte UE e Italia sul controllo dei confini: troppo potere ai giudici nazionali?

La reazione di Palazzo Chigi alla decisione dei giudici UE è stata immediata e durissima. La nota del governo è stata condivisa anche dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, sui suoi canali sociali a rafforzare la posizione del suo esecutivo.

Il governo critica la decisione della Corte di Giustizia UE, accusandola di intervenire in ambiti di competenza di governi e parlamenti. Un’invasione di competenze che conferirebbe eccessivo potere ai giudici nazionali nella scelta dei ‘Paesi Sicuri’. La nota sottolinea che la sentenza limiterebbe l’autonomia degli Stati nel gestire l’immigrazione e indebolisce il controllo sui rimpatri. 

La critica è ancora più forte perché la decisione arriva poco prima dell’entrata in vigore del nuovo Patto europeo sull’asilo prevista per il 12 giugno 2026. Il governo italiano, si dice, continuerà a cercare soluzioni per proteggere la sicurezza nazionale.

"Sorprende la decisione della Corte di Giustizia UE in merito ai Paesi sicuri di provenienza dei migranti illegali. Ancora una volta la giurisdizione, questa volta europea, rivendica spazi che non le competono, a fronte di responsabilità che sono politiche”.

Si legge nella nota, che poi continua con una critica diretta ai giudici Ue:

“La Corte di Giustizia UE decide di consegnare a un qualsivoglia giudice nazionale la decisione non sui singoli casi, bensì sulla parte della politica migratoria relativa alla disciplina dei rimpatri e delle espulsioni degli irregolari. La decisione della Corte indebolisce le politiche di contrasto all’immigrazione illegale di massa e di difesa dei confini nazionali.” 

Perché la sentenza della Corte UE sui migranti mette in crisi il protocollo Italia-Albania?

Per comprendere la portata della sentenza e la dura reazione di palazzo Chigi, occorre fare un passo indietro e ricostruire per sommi capi la vicenda relativa al protocollo Italia-Albania. 

Il protocollo in questione prevede il trasferimento di richiedenti asilo intercettati in acque italiane nei centri per il rimpatrio italiani realizzati in Albania. In queste strutture i migranti vengono sottoposti a procedura di rimpatrio accelerato per poi essere riportati nei rispettivi Paesi di origine che devono essere considerati sicuri.

A ottobre 2024, i giudici della sezione Immigrazione del Tribunale di Roma annullarono il primo trasferimento nei Cpr albanesi, sostenendo che i migranti coinvolti non potevano essere rimpatriati in quanto provenienti dall’Egitto e dal Bangladesh, Paesi non sicuri per le norme europee. 
Il governo italiano decise di correre ai ripari con un decreto legge contenente un elenco di 21 Paesi (compresi Egitto e Bangladesh) considerati sicuri per il rimpatrio. I giudici romani decisero, quindi, di investire la Corte di Giustizia Europea della questione, chiedendole di chiarire le competenze nella definizione di Paese Sicuro. 

Con la sentenza di oggi, i giudici europei hanno di fatto avallato la tesi dei giudici italiani affermando che un Paese per essere definito sicuro deve esserlo per tutti i suoi cittadini. I Paesi in cui le persone vengono perseguitate per la propria fede, per l’orientamento sessuale o per le proprie posizioni politiche non possono essere considerati tali. 

Questo principio mina la base giuridica della lista stilata dal governo Meloni, che include tra i Paesi sicuri anche Egitto e Bangladesh.

Questo pronunciamento potrebbe costringere l’Italia a rivedere il protocollo con l’Albania, in quanto fondato su presupposti giuridici ora messi in discussione.

 

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