02 Sep, 2025 - 09:12

Dumping fiscale in Europa: come funziona e perché l’Italia respinge le accuse francesi

Dumping fiscale in Europa: come funziona e perché l’Italia respinge le accuse francesi

Il termine dumping ha origine dall’inglese to dump, scaricare. In ambito commerciale indica la vendita di beni all’estero a un prezzo inferiore rispetto a quello applicato nel mercato interno. Trasferito al terreno tributario, diventa dumping fiscale e descrive pratiche di concorrenza sleale tra Stati.

Un paese adotta regimi fiscali molto vantaggiosi, attrattivi per imprese e persone fisiche ad alto reddito, a scapito degli altri paesi che vedono ridursi il proprio gettito. La conseguenza è una competizione distorta, in cui il fattore determinante non è l’efficienza produttiva ma la tassazione agevolata.

Non si tratta solo di aliquote basse. Rientrano in questo concetto anche incentivi specifici, agevolazioni per gli espatriati, flat tax dedicate a contribuenti facoltosi o meccanismi di ruling che permettono ad alcune multinazionali di negoziare condizioni più favorevoli. Strumenti legali, ma che creano un disequilibrio evidente all’interno dell’Unione Europea.

Francia vs Italia: accuse di dumping fiscale e replica di Meloni

Il 31 agosto 2025 il primo ministro francese François Bayrou ha accusato l’Italia di perseguire politiche di dumping fiscale. Nel mirino i regimi dedicati a chi trasferisce la residenza: la flat tax dei cosiddetti “nuovi residenti” e il regime impatriati.

Ecco un video YouTube di Tele Italia che riassume quanto accaduto negli ultimi giorni.

 

La replica di Giorgia Meloni è stata netta. La premier ha ricordato che la flat tax introdotta nel 2016 è stata raddoppiata nel 2023, passando da 100mila a 200mila euro all’anno per i redditi prodotti all’estero. Una misura che, a detta del Governo, rende meno conveniente trasferirsi in Italia rispetto al passato.

Anche il regime impatriati, operativo dal 2015, è stato rivisto dal 2024, riducendo la platea dei beneficiari e accorciando la durata delle agevolazioni.

Secondo Meloni, dunque, non si può parlare di dumping fiscale italiano. Piuttosto, l’Italia subisce la concorrenza di paesi come Irlanda, Lussemburgo e Olanda, che applicano da decenni regimi aggressivi capaci di drenare risorse dalle casse pubbliche degli altri Stati.

La premier ha invitato la Francia ad agire congiuntamente per contrastare queste giurisdizioni che, pur appartenendo all’Unione, mantengono politiche di favore sistematiche.

Paradisi fiscali in Europa e pratiche di concorrenza sleale

Il tema non è nuovo. Già nel 2020 Roberto Rustichelli, Presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, aveva denunciato in audizione alla Camera la gravità del fenomeno.

Irlanda, Olanda e Lussemburgo sono considerati veri e propri paradisi fiscali interni, capaci di attrarre flussi miliardari di utili grazie a un’imposizione sulle società estremamente ridotta e a regimi speciali per le multinazionali.

Le conseguenze sono tangibili. L’Italia perde ogni anno tra i 5 e gli 8 miliardi di dollari di gettito. Secondo alcune stime, oltre 23 miliardi di utili prodotti in Italia vengono spostati artificialmente all’estero: 11 miliardi verso il Lussemburgo, più di 6 in Irlanda, 3,5 in Olanda e circa 2 in Belgio.

Su scala europea le cifre diventano enormi. Nei vent’anni precedenti, le entrate fiscali perse per fenomeni di dumping fiscale oscillano tra 35 e 70 miliardi di euro l’anno. Risorse sottratte ai bilanci pubblici e quindi ai servizi fondamentali, dalla sanità alle infrastrutture.

Confronto tra Italia e paesi a fiscalità agevolata

I dati comparativi mostrano la distanza tra i modelli. Negli ultimi cinque anni l’Italia ha registrato una crescita del PIL del 5%. Nello stesso periodo l’Irlanda ha toccato il 60%, il Lussemburgo il 17% e l’Olanda il 12%.

Sul fronte del reddito pro capite, l’Italia si ferma a 28.860 euro (dato 2019), contro 60.350 dell’Irlanda, 83.640 del Lussemburgo e oltre 41.000 dell’Olanda.

Gli investimenti esteri diretti offrono un quadro ancora più netto: in Italia rappresentano il 19% del PIL, in Irlanda il 311%, in Olanda il 535%, in Lussemburgo addirittura il 5.760%. Numeri che raccontano la forza attrattiva dei regimi agevolati.

Anche sulle imposte societarie la forbice è evidente. In Italia il gettito da corporate tax è pari al 2% del PIL.

In Irlanda raggiunge il 2,7%, in Lussemburgo il 4,5%. Cifre apparentemente simili, ma ottenute con aliquote formali ridotte e con una base imponibile gonfiata dai profitti trasferiti dalle multinazionali.

Global minimum tax: la risposta internazionale al dumping fiscale

Per arginare queste distorsioni, l’OCSE ha promosso un accordo internazionale noto come Pillar Two, che prevede l’introduzione di una tassa minima globale al 15% per le imprese con fatturato superiore a 750 milioni di euro. L’Unione Europea ha recepito la direttiva, con l’obiettivo di uniformare le regole ed evitare che la concorrenza fiscale interna diventi insostenibile.

L’Italia ha già avviato l’iter di recepimento. Tuttavia, l’efficacia del meccanismo dipenderà dall’applicazione uniforme da parte di tutti i membri. Qualsiasi deroga o interpretazione creativa rischierebbe di vanificare la riforma. La vera sfida sarà garantire controlli e sanzioni efficaci per chi prova a mantenere regimi di favore occulti.

Effetti del dumping fiscale su imprese e cittadini

Il dumping fiscale non colpisce solo i bilanci degli Stati. Determina conseguenze dirette sul tessuto produttivo e sociale. Le imprese che restano in paesi con tassazione ordinaria subiscono un gap competitivo nei confronti di chi delocalizza la sede legale o parte dei profitti. Questo disincentiva gli investimenti locali e penalizza le aziende radicate sul territorio.

Per i cittadini, l’effetto è duplice. Da un lato, il minor gettito riduce le risorse per welfare, sanità e pensioni. Dall’altro, la pressione fiscale rimane elevata su chi non può spostare redditi e profitti, cioè lavoratori e piccole imprese. In questo senso, il dumping fiscale accentua le disuguaglianze e alimenta la percezione di ingiustizia del sistema tributario.

Italia tra strategie fiscali e sfida europea

Il caso aperto con la Francia mette in evidenza una questione da tempo irrisolta: la tensione tra sovranità fiscale e integrazione europea. Da un lato, ogni Stato difende il diritto di stabilire le proprie regole tributarie. Dall’altro, un mercato unico non può tollerare pratiche che erodono le basi imponibili degli altri partner.

L’Italia cerca di posizionarsi in equilibrio. Non può rinunciare a strumenti di attrazione per i capitali esteri, ma allo stesso tempo è costretta a difendere le proprie entrate da una concorrenza aggressiva che dura da decenni. La revisione della flat tax e del regime impatriati va letta in un'ottica diversa: un tentativo di bilanciare apertura e sostenibilità fiscale.

Il futuro dipenderà dalla capacità dell’Unione di trovare un accordo vero. Senza un coordinamento, il dumping fiscale continuerà a essere una zavorra per chi mantiene sistemi tributari più equi e trasparenti.

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