15 Sep, 2025 - 17:18

Lavori e assisti un familiare disabile? Ecco cosa puoi ottenere

Lavori e assisti un familiare disabile? Ecco cosa puoi ottenere

Chi assiste un familiare con disabilità grave ha diritto alla protezione contro le discriminazioni sul lavoro, anche se non è personalmente disabile.

È questo il principio espresso dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che nella sentenza C-38/24, pubblicata il 12 settembre 2025, apre nuove tutele per i caregiver familiari.

Secondo i giudici europei, quando un lavoratore subisce svantaggi legati all’assistenza a un familiare disabile, può parlare di discriminazione indiretta.

Un principio che rafforza i diritti di tanti genitori, figli o coniugi che ogni giorno si prendono cura di una persona fragile, pur dovendo conciliare impegni familiari e professionali.

Discriminazione per associazione: cosa significa e quando si verifica

La Corte ha stabilito che il divieto di discriminazione basata sulla disabilità non riguarda solo chi vive direttamente una condizione di disabilità, ma anche chi subisce effetti negativi sul lavoro a causa del supporto che presta a un familiare disabile.

Si parla, in questo caso, di discriminazione "per associazione". È una forma indiretta di esclusione, che si verifica quando l'organizzazione del lavoro non tiene conto delle esigenze legate all'assistenza a persone con disabilità.

Questa interpretazione si fonda sulla Direttiva europea 2000/78/CE, che tutela la parità di trattamento nel lavoro, e sui principi della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, insieme alla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.

Qual è stato il caso

La sentenza nasce da un caso italiano, portato fino in Cassazione e poi alla Corte di Giustizia Europea per un chiarimento sul diritto dell’Unione.

Protagonista della vicenda è una madre, dipendente di un’azienda, con un figlio minorenne affetto da disabilità grave e invalidità totale. La donna aveva chiesto al datore di lavoro di essere esentata dai turni, chiedendo un orario fisso per poter garantire al figlio cure adeguate.

L’azienda aveva concesso un accomodamento temporaneo, ma si era opposta a renderlo permanente. Da qui il ricorso giudiziario.

Secondo la Corte UE, però, il datore di lavoro non può ignorare l’impatto che una situazione familiare così delicata ha sulla vita lavorativa. Deve quindi valutare modifiche organizzative “ragionevoli” che permettano al dipendente di conciliare lavoro e assistenza.

Il datore di lavoro deve valutare accomodamenti ragionevoli

La Corte ha chiarito che le aziende, nel rispetto del principio di uguaglianza e inclusione, devono considerare la possibilità di:

  • Modificare l’orario di lavoro (es. orario fisso, no turni);
  • Rivedere la mansione o la sede di lavoro;
  • Adottare soluzioni che permettano al dipendente di assistere il familiare senza subire svantaggi professionali.

Tuttavia, questi obblighi sono limitati dal principio di proporzionalità: le modifiche devono essere sostenibili e non comportare un onere eccessivo per l’organizzazione.

Ciò significa che ogni richiesta deve essere valutata caso per caso, tenendo conto della struttura aziendale, delle risorse disponibili e della possibilità di accedere a sostegni pubblici.

Una sentenza che cambia il panorama dei diritti sul lavoro

La sentenza della Corte UE rappresenta un punto di svolta per i diritti dei caregiver, riconoscendo che anche chi non ha una disabilità personale può essere esposto a discriminazioni sul lavoro, a causa del proprio ruolo di assistenza familiare.

Una visione più ampia e inclusiva della parità di trattamento, che punta a garantire l’equilibrio tra vita lavorativa e familiare a chi ogni giorno si fa carico di cure spesso complesse e continuative.

Tre cose da sapere sulla sentenza

  • Anche i caregiver sono tutelati contro le discriminazioni: chi assiste un familiare con disabilità ha diritto a tutele, anche se non è disabile;
  • Il datore di lavoro deve valutare richieste di orari o mansioni più compatibili: le aziende devono considerare modifiche organizzative, se ragionevoli e proporzionate;
  • È riconosciuta la discriminazione per “associazione”: il divieto di discriminazione si estende anche a chi subisce effetti negativi per la condizione di un parente disabile.
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