Correre ai ripari, prima che il fisco allunghi le mani sul conto corrente. I controlli fiscali sono tornati al centro del dibattito dopo le novità su CEREBRO, la piattaforma del Ministero dell’Interno pensata per supportare le indagini patrimoniali. Il Garante della Privacy, con provvedimento n. 455 del 4 agosto 2025, ne ha autorizzato l’uso stabilendo regole precise e limiti stringenti.
Molti lettori si chiedono come funzionino davvero i controlli del fisco sui conti correnti, oppure se esista una soglia di versamenti o prelievi oltre la quale scatta l’allarme. Sono interrogativi che rimbalzano online e riflettono la preoccupazione di tanti contribuenti. Con i nuovi strumenti le risposte oggi sono più chiare: i controlli esistono, ma sono regolati da norme precise e non funzionano come un “Grande Fratello” che osserva ogni spesa. Negli ultimi anni, complice l’evoluzione digitale e l’aumento dei controlli antiriciclaggio, l’attenzione sui conti correnti si è fatta più serrata e selettiva.
Per capire meglio come e quando scattano i controlli del Fisco sui conti correnti, ti suggerisco di guardare il video "i 3 movimenti sospetti che fanno scattare i controlli da parte del fisco" di Carlo Alberto Micheli, disponibile su YouTube.
Che sia per colpa di incassi scarsi o di un’economia che viaggia al rallentatore, allo Stato mancano entrate importanti e la lotta all’evasione è al centro delle strategie. Ma come funzionano davvero i controlli?
Secondo quanto stabilito dall’articolo 32 del DPR 600/1973, l’Agenzia delle Entrate può utilizzare i dati bancari negli accertamenti fiscali (per l’IVA si applica l’art. 51 del DPR 633/1972). A questo si affianca la normativa antiriciclaggio, contenuta nel D.Lgs. 231/2007, che ha rafforzato la tracciabilità dei movimenti e gli obblighi per banche e intermediari.
Oggi i dati confluiscono nell’Archivio dei rapporti finanziari, parte dell’Anagrafe tributaria, dove arrivano informazioni su conti, carte, depositi e saldi. Le regole sono state aggiornate con un provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 23 maggio 2022.
Da qui parte l’analisi: l’Agenzia usa Ve.Ra. (Verifica dei Rapporti finanziari), un sistema di elaborazione che individua liste di contribuenti “a rischio”. Non c’è automatismo: ogni segnalazione viene valutata da funzionari prima di un eventuale accertamento, come riportato da Il Sole 24 Ore.
Sul fronte delle indagini patrimoniali entra in gioco CEREBRO, gestito dal Viminale. Non si tratta di un sistema che controlla tutti i cittadini indistintamente, ma di uno strumento per incrociare dati fiscali, catastali e finanziari nei confronti di soggetti indagati o a rischio di misure di prevenzione.
E il redditometro? Il DM del 7 maggio 2024, che avrebbe dovuto rilanciarlo, è stato sospeso in attesa di modifiche. L’idea rimane quella di confrontare le spese con i redditi, ma l’applicazione sarà limitata ai casi di evidente incongruità, come chiarito dal MEF.
Non è una mossa disperata, ma una strategia mirata: scovare gli incassi illeciti. Se un cittadino dichiara 20.000 euro l’anno ma sul conto scorrono entrate molto più alte, oppure compaiono spese per beni di lusso incompatibili con quel reddito, il sistema segnala un’anomalia legata al codice fiscale. È come un semaforo rosso che accende l’attenzione della Guardia di Finanza o dell’Agenzia delle Entrate e può far partire un controllo mirato.
Resta però una domanda che molti si pongono: i conti correnti vengono tutti monitorati? La risposta è no. I controlli non sono indiscriminati, ma scattano solo di fronte a incoerenze evidenti. Non esiste un “Grande Fratello” che scruta ogni singola spesa: i filtri servono a isolare solo i casi sospetti. Il Garante della Privacy ha fissato regole chiare — accessi limitati, uso proporzionato dei dati e tutela del diritto di difesa — proprio per bilanciare efficacia delle verifiche e protezione dei cittadini.
Quando parte un accertamento, la regola è che i movimenti non giustificati siano considerati redditi non dichiarati. Tocca al contribuente dimostrare il contrario, producendo prove concrete: può trattarsi di redditi esenti (borse di studio, risarcimenti), somme già tassate, prestiti familiari, donazioni, disinvestimenti o rimborsi spese. In assenza di documentazione certa, il fisco li considera ricavi imponibili, come confermato anche dalla Cassazione (sent. 11785/2022).