La dichiarazione IMU è un passaggio fiscale che non tutti i contribuenti affrontano ogni anno, ma che diventa obbligatorio in presenza di variazioni rilevanti sugli immobili.
Entro il 30 giugno 2025 bisognava presentare il modello per l’anno 2024, ma chi ha mancato l’appuntamento non è ancora fuori tempo massimo. Il calendario offre infatti un’ultima chiamata: fino al 30 settembre si può ricorrere al ravvedimento operoso, pagando sanzioni ridotte.
E allora, quali situazioni obbligano a inviare la dichiarazione IMU? Cosa cambia tra dichiarazione tardiva e omessa? E soprattutto, cosa rischia chi si sveglia dopo il 30 settembre?
Chi non ha inviato la dichiarazione IMU entro il 30 giugno può rimediare grazie al ravvedimento operoso. Il termine dei 90 giorni cade proprio il 30 settembre: una scadenza che segna il confine tra un’irregolarità sanabile a costi minimi e una regolarizzazione più onerosa.
Fino a quella data, infatti, la sanzione ordinaria — che in caso di dichiarazione omessa varia dal 100% al 200% dell’imposta — viene ridotta drasticamente. Con l’IMU correttamente pagata, il minimo è 50 euro, che scendono a soli 5 euro grazie al ravvedimento entro il 30 settembre. Un’occasione da non lasciarsi sfuggire.
Dopo quella data, la riduzione continua a esistere, ma con percentuali meno generose. In pratica, chi si muove subito risparmia di più.
Il 30 settembre 2025 non è però una scadenza che riguarda tutti i proprietari di casa. L’obbligo di dichiarazione scatta solo quando ci sono variazioni che il Comune non conosce e che incidono sull’imposta. Alcuni esempi concreti:
Chi non rientra in questi casi non deve fare nulla, se non pagare regolarmente l’IMU. Chi invece era tenuto all’invio e ha saltato la scadenza di giugno deve ricordare il 30 settembre come ultimo giorno utile per sfruttare la riduzione massima sulle sanzioni.
Il quadro normativo non è draconiano. Anche dopo il 30 settembre, il ravvedimento operoso resta percorribile, ma le condizioni peggiorano progressivamente. Le sanzioni ridotte crescono in base al ritardo:
Il problema è che, più passa il tempo, più il rischio di controlli da parte dei Comuni aumenta. Un avviso di accertamento significa sanzioni piene, interessi e costi aggiuntivi, con conseguenze ben più pesanti rispetto al ravvedimento.
Per questo il 30 settembre rappresenta una vera “deadline psicologica”: non solo è il termine dei 90 giorni dalla scadenza, ma è anche la data oltre la quale la regolarizzazione diventa meno conveniente.