Si mette male per chi sperava di poter andare in pensione prima dei 70 anni. Entro il 2067, secondo le proiezioni INPS, l’età pensionabile in Italia potrebbe fissarsi proprio su questa soglia. Ma perché succede e cosa cambia per chi lavora oggi?
Mentre il governo ragiona sulla Manovra 2026, il sistema previdenziale resta ancorato alla Legge Fornero (L. 214/2011), che da oltre dieci anni lega l’età di uscita all’aspettativa di vita ISTAT. Una situazione che sfianca molti lavoratori, preoccupati anche per la possibile fine di Quota 103, in scadenza a dicembre 2025.
Tutto questo pesa sulle spalle di milioni di lavoratori che rischiano di perdere l’accesso alla pensione anticipata. Alcuni non se la sentono più di affrontare il discorso previdenziale, la cui prospettiva sembra sempre più lontana.
Lo scorso 20 ottobre un lettore ci ha chiesto:
La risposta è amara. In un contesto lavorativo complesso, innovativo e non sempre facile, è difficile smentire la delusione.
Purtroppo sì: se nulla cambierà nel sistema attuale, la proiezione è proprio questa. Chi è nato dopo il 1990 e ha cominciato a lavorare in età adulta dovrà attendere il 2067 per maturare i requisiti per la pensione di vecchiaia ordinaria.
Per contrastare l’invecchiamento costante della popolazione italiana si tenta di correre ai ripari allungando l’età di accesso alla pensione. Non sorprende, quindi, che si parli del 2067 come dell’anno in cui saranno molti di più i pensionati rispetto ai lavoratori attivi.
Mantenere lo stesso tenore di vita in pensione con il sistema contributivo, basato sui versamenti effettuati durante la carriera, è sempre più difficile.
Come sottolinea l’ultimo report ISTAT, citato anche da ItaliaOggi, la popolazione italiana è proiettata verso un invecchiamento rapido, mentre la quota di giovani occupati si assottiglia.
Nel 2067, il rapporto tra lavoratori e pensionati potrebbe essere quasi uno a uno: ogni contribuente sosterrà quasi un pensionato. Questo squilibrio demografico spinge il sistema a posticipare l’età di uscita per garantire la tenuta dei conti pubblici.
Come spiegato da Il Sole 24 Ore, l’uscita dal lavoro con la pensione anticipata ordinaria sarà possibile solo maturando 43 anni e 1 mese di contributi (uomini) o 42 anni e 1 mese (donne), senza alcun requisito anagrafico.
Per il momento, nelle altre formule come Quota 103 e Opzione Donna, non è previsto il differimento per il 2026. Diversamente, l’Ape Sociale risulta rinnovata nella bozza di Bilancio.
Chi è nato dopo il 1990, e ha iniziato a lavorare tardi o con carriere discontinue, è quindi il più esposto al rischio di dover attendere i 70 anni per la pensione.
Nel frattempo, iniziano a prendere forma una serie di micro-aumenti sulle pensioni.Si parla infatti di 20 euro in più nel cedolino per gli over 70 titolari di pensioni minime.
Come spiega L’Espresso, nel settore previdenziale sono previsti lievi incrementi legati al caro vita e all’andamento dell’inflazione. Si tratta di interventi simbolici, ma che mostrano la crescente attenzione verso le fasce più anziane, spesso penalizzate dall’aumento dei prezzi.
“Perché devo lavorare più a lungo se pago i contributi da anni?” È la domanda che molti giovani si pongono guardando al futuro.
L’aumento dell’età pensionabile, però, mette in crisi l’equilibrio tra le generazioni: con sempre meno giovani al lavoro e più anziani in pensione, il sistema rischia di non reggere, scaricando sui lavoratori attivi il peso delle pensioni future.
Anche se non torneranno le “Quote” come Quota 100, il vero nodo non riguarda solo quando si andrà in pensione, ma come ci si arriverà.
I lavoratori che resteranno più a lungo al lavoro avranno bisogno di maggiori tutele, sia per la salute sia per la qualità della vita.
Altri, invece, con l’età avanzata, saranno costretti a reinventarsi, che ci siano o meno tutele adeguate.
Come ricorda l’INPS nel suo ultimo rapporto: