Il concordato preventivo biennale è uno strumento pensato per dare respiro e stabilità alle partite IVA. In pratica, chi aderisce sigla con il Fisco un accordo valido per due anni che consente di mettere al sicuro il carico fiscale, evitando sorprese future.
Un meccanismo che punta a offrire prevedibilità, ma che non è affatto blindato: ci sono situazioni precise che possono far cadere l’accordo e azzerare i vantaggi.
Ma quali sono le cause di decadenza? In quali casi il ravvedimento operoso può salvare il patto? E cosa succede se emergono ex post condizioni che escludono l’adesione?
Il decreto legislativo n. 13/2024, all’articolo 22, ha fissato i casi in cui l’adesione al concordato preventivo biennale non regge più. Non si parla solo di irregolarità marginali, ma di violazioni che incidono in modo sostanziale.
Un primo scenario riguarda l’accertamento di attività non dichiarate, oppure la rilevazione di passività inesistenti o non deducibili. Se la differenza supera il 30% dei ricavi dichiarati, il concordato decade senza scampo.
Altra ipotesi è la presentazione di una dichiarazione integrativa che cambia il quadro ai fini delle imposte sui redditi o dell’IRAP. Anche l’omesso versamento delle imposte dovute è un motivo di esclusione, con un’importante novità introdotta dal decreto correttivo del 4 giugno 2025: l’arrivo di un avviso bonario non comporta più la caduta automatica, purché si saldi quanto dovuto entro 60 giorni.
Ci sono poi violazioni considerate più gravi. Tra queste rientrano i reati tributari accertati, l’errata comunicazione dei dati ISA con scostamenti superiori al 30%, l’omessa presentazione delle dichiarazioni annuali (redditi, IRAP, IVA e 770), errori ripetuti nella memorizzazione dei corrispettivi, il rifiuto di esibire documenti rilevanti e persino la manomissione dei registratori telematici.
Non sempre l’accordo viene meno in modo definitivo. La normativa ha previsto uno spazio di manovra per chi regolarizza spontaneamente la propria posizione con il ravvedimento operoso.
Questa possibilità si applica in casi delicati, come l’omesso versamento delle imposte, errori nella comunicazione dei dati ISA o persino l’omessa dichiarazione dei redditi. In sostanza, se il contribuente interviene in tempo, può evitare di perdere il concordato preventivo biennale e i relativi benefici.
Attenzione, però: il ravvedimento non funziona se l’irregolarità è già stata constatata, oppure se sono partiti accessi, ispezioni o verifiche dell’Agenzia delle Entrate. Serve quindi tempestività e la volontà di mettersi subito in regola.
C’è un’ultima categoria di situazioni da considerare: le cause di esclusione che possono emergere anche dopo l’adesione al concordato. In questi casi, l’effetto è immediato e retroattivo.
Parliamo ad esempio dell’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi in uno dei tre anni precedenti, oppure di condanne per reati tributari o finanziari come riciclaggio e autoriciclaggio. Anche la presenza di debiti tributari e contributivi sopra i 5.000 euro, se non rateizzati o sospesi, comporta l’annullamento del concordato.
Ma cosa succede in concreto se si decade? Il meccanismo è chiaro: non si torna indietro rispetto agli impegni già assunti.
L’Agenzia delle Entrate chiederà comunque l’importo più alto tra quello previsto dal concordato e quello calcolato in via ordinaria. Ne consegue che, se il reddito concordato risulta superiore a quello reale, si continuerà a pagare sulla base del patto. Al contrario, se il reddito effettivo è più alto, scatta il ricalcolo ordinario delle imposte.
In entrambi i casi, l’Erario non perde: il contribuente dovrà sempre versare la cifra più elevata.