La cedolare secca sui negozi, rompendo il ghiaccio sulle proposte per la Manovra 2026, sposta la linea del cambiamento verso un rafforzamento delle attività commerciali. In Italia, commercianti e proprietari hanno ormai un disperato bisogno di interventi mirati per risollevarsi. Paradossalmente, si continua a parlare di pacchetti dedicati a famiglie e imprese, mentre scivolano in secondo piano gli aiuti per i negozi.
Eppure, passeggiare in un centro storico e vedere saracinesche abbassate non è solo un colpo al cuore per chi ricorda un centro vivo: è il segnale che la vita urbana sta cambiando, e spesso non in meglio. La cosiddetta “desertificazione urbana”, cioè la chiusura progressiva di negozi e botteghe, è un fenomeno che colpisce ormai quasi tutte le città italiane. È per questo che il governo Meloni starebbe pensando di introdurre una novità fiscale destinata a far discutere: la cedolare secca anche per i negozi.
È fondamentale riconoscere il profondo impatto che potrebbe avere l’applicazione agli affitti commerciali di un’imposta sostitutiva, simile a quella già prevista per le abitazioni. Non più una somma di imposte diverse calcolate sul reddito da locazione, ma un’unica aliquota secca, stabile e prevedibile. Una misura che, se ben calibrata, può convincere i proprietari a mettere a disposizione gli spazi a condizioni più favorevoli e i commercianti a restare in attività senza l’incertezza di continui aumenti.
I dettagli sono noti, anche perché il tema non è nuovo, ma vale la pena riassumerli. Nella Legge di Bilancio del 2019 fu introdotta in via sperimentale la cedolare secca per gli immobili commerciali di categoria C/1 (negozi e botteghe), con superficie fino a 600 metri quadri. Allora l’aliquota fu fissata al 21% e la misura si applicava solo ai contratti stipulati nell’anno di introduzione della norma. È importante sottolineare che l’esperimento fu interrotto e non ebbe seguito, ma lasciò intravedere le potenzialità dello strumento.
A conti fatti, una norma simile è stata ripresa dalla Legge Delega sulla riforma fiscale, la n. 111 del 9 agosto 2023, che all’articolo 5 ha previsto la possibilità di estendere il regime anche agli immobili non abitativi, a patto che il conduttore svolga un’attività d’impresa, arte o professione.
Lo scorso 29 agosto è scaduto il termine per rendere operativa la norma. Nel frattempo, come riportato da Repubblica.it, il ministro Foti ha confermato che la misura è entrata a pieno titolo nella discussione sulla nuova manovra.
Un passaggio interessante, sottolineato proprio nell’articolo di Repubblica, riguarda la superficie massima ammessa: il governo sta valutando di innalzare il limite fino a 1.500 metri quadri, una soglia molto più ampia di quella sperimentata nel 2019.
Oggi questa modifica renderebbe la misura accessibile non solo alle piccole botteghe, ma anche ai negozi di dimensioni medio-grandi, con l’obiettivo dichiarato di rivitalizzare i centri urbani.
Il commercio locale, che nell’era pre-pandemica ha trainato l’economia reale, ha mostrato un cedimento negli anni successivi al Covid. Combattere la desertificazione urbana, restituire vitalità ai centri storici e dare respiro a proprietari e commercianti è l’obiettivo primario che il governo italiano dichiara di voler realizzare. Non si tratta di una semplice convinzione: se affittare diventa più conveniente, il rischio che i locali restino sfitti si riduce. E questo può avere effetti positivi non solo sulla crescita dell’economia nazionale, ma anche sulla sicurezza e sul decoro delle città.
Non mancano però le domande che sollevano diversi problemi. In primo luogo: chi potrà davvero usufruire della cedolare secca? È probabile che resti limitata ai proprietari persone fisiche, come già avviene per gli affitti abitativi, ma non è escluso che si apra anche ad altre categorie. C’è poi il tema dell’aliquota: mantenere il 21% o differenziarla in base a superficie e destinazione?
Un altro nodo riguarda la rinuncia agli aggiornamenti ISTAT dei canoni, condizione tipica di questo regime che potrebbe rendere meno appetibile l’opzione per molti proprietari. Infine, non vanno trascurati i conti pubblici: la cedolare secca riduce le entrate fiscali e sarà necessario capire come compensare eventuali mancate risorse per lo Stato e per gli enti locali.