Edifici distrutti, incendi, quartieri al buio. Leopoli ha vissuto una delle notti più drammatiche dall’inizio dell’invasione russa, quando missili e droni hanno raggiunto il profondo ovest dell’Ucraina.
Tra le vittime civili e le infrastrutture energetiche devastate, un treno di ritorno da Kharkiv con 110 pacifisti italiani del Movimento europeo di azione non violenta (Mean) si è trovato sotto il fuoco.
Gli attivisti, che rientravano dalla decima missione di solidarietà e pacifismo, hanno visto il cielo illuminarsi a giorno dalle esplosioni, mentre incendi e colpi d’antiaerea scuotevano la città.
Tutti illesi, sono stati assistiti dalle ambasciate italiane e dalle autorità ucraine, ma la vicenda non ha suscitato clamore: la sinistra, impegnata su piazze pro-palestinesi e conti elettorali, ha scelto di non indignarsi.
Angelo Moretti, presidente del Mean, ha raccontato l’esperienza vissuta dai pacifisti italiani, sottolineando come il viaggio verso la Polonia sia stato una sorta di “prova di ciò che l’Ucraina vive ogni giorno”.
Il treno ha sostato a Leopoli per due ore, mentre esplosioni, incendi e colpi d’antiaerea si susseguivano attorno ai vagoni. Missili e droni hanno colpito abitazioni e infrastrutture energetiche, provocando morti e feriti tra la popolazione.
Nonostante la drammaticità dell’evento, la cronaca del treno non ha avuto lo spazio mediatico che meriterebbe: i riflettori si sono invece concentrati su tematiche di tendenza, piazze politiche o polemiche locali.
La sinistra, spesso pronta a indignarsi su temi che creano consenso immediato, ha preferito non commentare quanto accaduto ai pacifisti italiani, lasciando che il silenzio coprisse la testimonianza di chi ha rischiato la vita per la pace.
Il contrasto tra l’eroismo dei pacifisti e la mancata reazione della sinistra politica e mediatica è evidente. Mentre migliaia di civili continuano a vivere sotto il peso dei bombardamenti e il freddo invernale si avvicina, chi dovrebbe alzare la voce resta in silenzio, concentrando invece attenzione e indignazione su eventi che garantiscono visibilità immediata.
L’assenza di commenti e prese di posizione su Leopoli e il treno di pacifisti italiani evidenzia un meccanismo noto: l’indignazione è calibrata in base alla “notiziabilità” e non alla gravità dei fatti.
La cronaca dei pacifisti diventa così un simbolo della disparità tra ciò che suscita vero impegno civile e ciò che serve a raccogliere like e consensi sui social. Del resto, sono i giorni delle elezioni in Calabria e delle piazze piene per la Palestina che il centrosinistra rivendica compulsivamente pur non avendo organizzato nulla.
Alla luce di quanto accaduto, il treno dei pacifisti italiani rappresenta una testimonianza diretta del coraggio civile, ma anche una denuncia silenziosa della politica e dei media.
Chi ha rischiato la vita a Leopoli non ha trovato l’indignazione che meriterebbe, e la sinistra, tradizionalmente attenta ai temi della solidarietà, sembra aver fatto prevalere l’agenda della visibilità immediata.
Gli attivisti, pur illesi, hanno riportato con le loro parole e immagini la brutalità della guerra, mentre la copertura politica si è concentrata altrove, dimenticando che la solidarietà e il pacifismo non sono mai di tendenza.
Il silenzio parla più di ogni comunicato: evidenzia la discrepanza tra coraggio reale e indignazione selettiva, tra chi rischia davvero e chi sceglie il clamore per convenienza.