L’era della pensione anticipata sta per finire. O forse è già finita da tempo e pochi se ne sono accorti. Sembrano lontani i tempi in cui si discuteva dello "scalone" di Quota 100; oggi la domanda più comune è diventata: "Quanto si perde con la pensione anticipata?". Fino a ieri si parlava di pianificare l’uscita dal lavoro come un semplice cambio di registro verso ritmi meno forsennati, accettando al più qualche leggera discrepanza sull’assegno. Ora lo scenario è cambiato, ma la regia sembra quella di un film già visto: la continuità e il rafforzamento delle rigide regole della legge Fornero.
Con un debito pubblico da frenare e la necessità di garantire la sostenibilità della spesa, il governo Meloni sta operando una vera e propria "ritirata strategica" dal fronte della flessibilità pensionistica. Un ripiegamento silenzioso che, come sottolinea un'analisi della FISAC-CGIL, è un "silenzio che dice tutto" e che culminerà nella stretta attesa per il 2026. In questo scenario, per molti lavoratori si profila all'orizzonte un'unica e forse inattesa "scialuppa" per anticipare l'addio al lavoro: il proprio Trattamento di Fine Rapporto.
I numeri non mentono mai e, nell'ultimo biennio, raccontano di un passaggio dal picco di richieste a un brusco e progressivo rallentamento. Anche se i dati definitivi per il 2025 non sono ancora consolidati, le proiezioni basate sui dati INPS del 2024 e del primo semestre 2025 confermano il trend. I dati più recenti dell'Osservatorio INPS mostrano un calo drastico delle liquidazioni, con flessioni significative per tutte le forme di uscita anticipata, da Opzione Donna (crollata di oltre il 70%) a Quota 103.
Questa contrazione non è casuale, ma il risultato diretto delle restrizioni introdotte nelle recenti leggi di bilancio. Misure ponte come Quota 103, Opzione Donna e l'APE Sociale, pur differite di anno in anno, sono state progressivamente depotenziate. Come evidenziato anche da un approfondimento de Il Messaggero, ogni rinnovo ha portato con sé penalizzazioni e paletti più severi. L'obiettivo del governo, in vista della Legge di Bilancio 2026, è chiaro: superare questa frammentazione. Di fatto, l'era delle "quote" finirà nel 2025, lasciando il posto a un meccanismo che, sulla carta, offre una via d'uscita ma, nei fatti, la preclude a molti.
L'uso di misure temporanee, condizionate da risorse appena sufficienti, ha alimentato l'incertezza. Per questo molti si chiedono: "Come si potrà andare in pensione prima dal 2026?". La risposta, come analizzato da Italia Oggi, si consolida attorno a un'ipotesi principale: la nuova via per la pensione anticipata sarà a 64 anni di età con almeno 20 anni di contributi.
Sembrerebbe una buona notizia, se non fosse per il vincolo cruciale sull'importo. Potrà accedere a questa opzione solo chi avrà maturato un assegno pensionistico pari ad almeno 2,8 o 3 volte l'importo dell'assegno sociale. Si tratta di una soglia molto elevata, impraticabile per i lavoratori con carriere discontinue, part-time o stipendi bassi. Per tutti gli altri, l'unica alternativa resterà la pensione di vecchiaia a 67 anni. Questa misura rischia di creare una profonda frattura sociale, intrappolando nel mondo del lavoro persone anagraficamente "anziane" ma non abbastanza "ricche" per smettere.
Ecco allora che si inserisce l'idea più innovativa e discussa: trasformare il TFR in uno strumento attivo per la pensione. Di fronte al muro dell'importo minimo, il governo sta studiando un meccanismo per consentire ai lavoratori di utilizzare il proprio TFR accumulato per colmare il divario.
In sostanza, il montante accumulato verrebbe erogato come una "rendita ponte" mensile. Sommandosi alla quota di pensione già maturata, permetterebbe di raggiungere la soglia richiesta per l'uscita a 64 anni. Si tratta di una soluzione a costo zero per lo Stato ma che, come denuncia con forza la CGIL, di fatto "fa pagare ai lavoratori il costo della flessibilità". È una ritirata strategica in piena regola: lo Stato trasferisce l'onere sui risparmi privati dei cittadini, trasformando la liquidazione da "tesoretto" di fine carriera a strumento indispensabile per poter smettere di lavorare.
Infine, lo scenario del 2027. Si spera in un accordo per congelare lo scatto automatico dei requisiti legato all'aspettativa di vita, che comporterebbe tre mesi in più per tutte le misure. La pensione di vecchiaia passerebbe a 67 anni e 3 mesi, mentre quella anticipata salirebbe a 43 anni e 1 mese di contributi per gli uomini (42 anni e 1 mese per le donne).
Tuttavia, un blocco totale costerebbe oltre 3 miliardi di euro a regime. L'ipotesi più accreditata è quindi quella di una "sterilizzazione selettiva", un intervento che tutelerebbe solo chi, nel 2027, avrà già compiuto 64 anni, lasciando che lo scatto si applichi a tutti gli altri. Una soluzione che lascerebbe comunque un quadro di grande incertezza sull'inevitabile innalzamento dei requisiti per andare in pensione.