Dalla proposta dal sapore sovietico del centrosinistra di requisire le case sfitte degli italiani, alla stangata del centrodestra sugli affitti brevi sulla prima casa. Un tempo il ‘mattone’ era considerato il porto sicuro delle famiglie. Arrivare ad acquistare una casa di proprietà era l’obiettivo della vita, oggi invece è diventato quasi una colpa.
Mala tempora currunt per chi ha avuto l’ardire in passato o nel presente di osare investire i frutti del proprio lavoro nell’acquisto di un'abitazione. Il centrosinistra vorrebbe requisire quelle sfitte con il “Piano nazionale per la giustizia abitativa”; il centrodestra – che forse sta un po' perdendo la bussola – vuole limitare la nostra libertà di scelta imponendo una tassazione maggiorata in caso di affitti brevi della prima casa.
In sintesi, nelle ultime settimane, la politica è entrata a gamba tesa sul diritto alla proprietà degli italiani, un diritto sacrosanto sancito dalla Costituzione e nel farlo ha deciso di minacciare il più sacrosanto dei diritti, ovvero quello alla casa.
L’ultima settimana non è stata semplice per chi possiede una casa di proprietà e non parliamo solo delle grandi proprietà, di chi possiede due o più case (che poi non si capisce perché debbano essere demonizzati), ma anche di chi è proprietario di una sola casa, che magari ha ereditato dai genitori e che è frutto di anni di sacrifici.
Prima ci ha pensato il centrosinistra con la sua proposta di legge dall’evidente sapore sovietico di requisire – temporaneamente – le case sfitte per risolvere il problema dell’emergenza abitativa. Il centrosinistra italiano, anziché sostenere un Piano Casa, spingere sul governo affinché venga predisposto e varato al più presto, che cosa fa? Propone di requisire le case vuote, ma solo per i grandi proprietari con numerosi immobili inutilizzati.
Il centrodestra, invece, ci prova con la nuova manovra di bilancio introducendo una tassazione maggiorata (dal 21 al 26%) per chi destina la prima casa di proprietà agli affitti brevi. Insomma, chi possiede una casa per i politici italiani non può decidere liberamente cosa farne, ma deve necessariamente affittarla e nel farlo non può neanche optare per il tipo di affitto considerato più conveniente perché in quel caso (affitti brevi) deve pagare più tasse.
Un assalto frontale alla proprietà immobiliare legittima, mascherato da giustizia sociale, eppure carico di pericolosi effetti distorsivi sul mercato e sulle garanzie individuali.
Pd, M5S e AVS hanno battezzato la loro proposta “Piano nazionale per la giustizia abitativa”. La proposta punta a intervenire sull’elevato numero di abitazioni vuote e inutilizzate, ritenute una delle cause dell’emergenza abitativa. Tra le misure principali vi sono un censimento dettagliato degli immobili sfitti, limiti agli affitti turistici e la possibilità di sanzioni pecuniarie per chi non affitta senza giustificato motivo. Nei casi più estremi, si parla anche di requisizione temporanea delle case vuote, ma solo per grandi proprietari con numerosi immobili inutilizzati. L’obiettivo dichiarato è ridurre la speculazione e favorire l’accesso alla casa come diritto sociale.
Dietro la retorica della “giustizia abitativa,” alcuni osservatori vedono riaffiorare un modello di intervento statale che ricorda in qualche modo antiche visioni centraliste di gestione della proprietà privata, seppur in forme meno estreme. Dietro le parole di “giustizia abitativa” si celerebbe infatti la volontà di riattualizzare un modello sovietico e anacronistico di controllo statale sulla proprietà privata, una vecchia illusione “rossa” di esproprio e redistribuzione coatta.
Inaspettata è stata, infine, la doccia fredda arrivata dal Governo con l’introduzione nella Legge di Bilancio 2026 dell’aumento della tassazione sugli affitti brevi al 26% per le prime case. Una misura non in linea con l’immagine di destra liberale dell’esecutivo Meloni.
Colpire le locazioni brevi — cioè uno dei pochi strumenti rimasti a disposizione di famiglie, pensionati e piccoli proprietari per valorizzare un immobile — è una scelta che va ben oltre il semplice obiettivo fiscale. È una presa di posizione politica precisa, che sancisce l’idea che la proprietà privata, se produce reddito, debba essere limitata, tassata, incanalata secondo una logica collettivista. È, in fondo, un messaggio ideologico: “la casa non è un bene da mettere a reddito liberamente, ma un pezzo del sistema economico nazionale, su cui lo Stato ha voce in capitolo”.
In questo senso, la misura sembra figlia più della pressione populista che di un reale bisogno di riequilibrio fiscale. Una contraddizione plateale, che dimostra quanto sia diventato confuso il profilo della maggioranza: una destra che non difende la proprietà, ma la tassa; che non premia l’iniziativa privata, ma la ostacola.
Giorgia Meloni fa cassa alzando le tasse sui proprietari di casa, dopo averli illusi per anni che il mattone non si toccava.
— M5S Europa (@M5S_Europa) October 20, 2025
L’aumento al 26% della cedolare secca sugli affitti brevi è inaccettabile e grava anche sul settore turistico: ci sono tantissimi cittadini che affittano… pic.twitter.com/firZykaeRh
Il caso è ancora più inquietante perché non parliamo di speculatori immobiliari, ma spesso di piccoli risparmiatori che, in un Paese dove lo Stato non garantisce pensioni dignitose, hanno investito nel mattone per costruirsi una sicurezza.
E allora il sospetto è che questa tassa sia solo l’inizio di un processo più ampio: lo Stato che mette le mani sulle case degli italiani, trasformando ogni forma di reddito personale in una base imponibile da spremere.