È il giorno delle comunicazioni in Parlamento della presidente del Consiglio Giorgia Meloni in vista della riunione del Consiglio Europeo del 23 e 24 ottobre.
Nel suo intervento al Senato, la premier ha ribadito la disponibilità del governo italiano a riconoscere lo Stato di Palestina, ma solo a condizione che Hamas venga completamente eliminato dalla Striscia di Gaza.
Una posizione non nuova: Meloni l’aveva già espressa lo scorso settembre all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York.
Tuttavia, nel frattempo, la situazione sul terreno è drasticamente mutata. Nell’ultimo mese la situazione nella Striscia di Gaza è cambiata radicalmente con il cessate il fuoco e l’avvio del piano di pace di Trump, ma la strada per la liberazione della Palestina da Hamas appare molto lunga e irta di ostacoli.
Legare il riconoscimento della Palestina alla “completa esclusione” di Hamas suona, agli occhi di molti osservatori, come un modo per rinviare all’infinito una decisione politica scomoda.
È ciò che si può definire una retorica delle condizioni impossibili: ovvero, porre premesse talmente difficili da realizzare – se non del tutto irrealizzabili nel breve e medio termine – da rendere vano ogni impegno dichiarato.
Sono oltre 150 stati che hanno già riconosciuto la Palestina, includendo i recenti riconoscimenti da parte di Francia, Regno Unito, Canada, Australia e Portogallo, senza imporre nessuna condizione preliminare.
L’Italia, invece, continua a rifugiarsi in una formula che suona più come un alibi che come una strategia diplomatica.
Questa mattina, parlando ai senatori a Palazzo Madama, la presidente del Consiglio italiano ha ribadito che per l’Italia è fondamentale l’esclusione di Hamas dal futuro governo dello Stato Palestinese. Una condizione posta come necessaria per il riconoscimento da parte del nostro Paese dello Stato palestinese.
Ha dichiarato Giorgia Meloni aggiungendo che queste sono anche “le precondizioni necessarie anche per il riconoscimento da parte dell’Italia dello Stato di Palestina”.
Una posizione che è stata approvata in Parlamento anche con l’appoggio di una parte del centrosinistra.
“Il governo è pronto ad agire di conseguenza quando queste condizioni si saranno materializzate", ha concluso la premier ricordando le recenti esecuzioni in piazza compiute da Hamas contro civili palestinesi sospettati di aver collaborato con Israele.
Una posizione chiara e condivisibile poiché la sconfitta della feroce organizzazione terroristica, responsabile del massacro del 7 ottobre 2023 è naturalmente la base per qualsiasi percorso di pace.
Dal Senato della Repubblica, le comunicazioni in vista del prossimo Consiglio europeo. https://t.co/EIk0pJ7il7
— Giorgia Meloni (@GiorgiaMeloni) October 22, 2025
Tuttavia, alla luce dell’evoluzione della crisi in Medio Oriente, questa presa di posizione si inserisce in un quadro internazionale profondamente cambiato, in cui cresce la pressione per un riconoscimento formale dello Stato palestinese come passo necessario verso una soluzione duratura del conflitto.
In questo contesto, l’insistenza del governo italiano su una condizione così estrema e difficilmente realizzabile – la “completa esclusione” di Hamas – assume i tratti di una retorica che si potrebbe definire delle condizioni impossibili o quanto meno improbabili.
Si tratta di una strategia argomentativa che consiste nel dichiarare apertura e disponibilità, ma solo a patto che si verifichi un evento altamente improbabile o indefinito nel tempo, di fatto bloccando ogni azione concreta.
Questo approccio contrasta apertamente con le scelte compiute da oltre 150 Stati – inclusi recenti partner occidentali come Francia, Regno Unito, Canada, Australia e Portogallo – che hanno riconosciuto lo Stato di Palestina senza porre condizioni preliminari.
La posizione italiana, dunque, rischia di essere percepita come un alibi diplomatico, più funzionale a non esporsi che a contribuire attivamente alla pace. Una politica dell’attesa indefinita, mascherata da prudenza.
La posizione italiana, dunque, rischia di essere percepita come un alibi diplomatico, più funzionale a non esporsi che a contribuire attivamente alla pace. Una politica dell’attesa indefinita, mascherata da prudenza
La condizione posta da Giorgia Meloni per il riconoscimento dello Stato di Palestina — l’eliminazione totale di Hamas — appare, nei fatti, come un espediente per non farlo mai.
Va poi ricordato che Hamas, per quanto organizzazione contestata e radicale, è stata eletta nel 2006 da una parte significativa della popolazione palestinese: è dunque un attore politico con una base popolare. Non è un'entità esterna o calata dall’alto.
Pretendere che scompaia da un giorno all’altro, come condizione per ogni passo avanti, significa ignorare le dinamiche interne a Gaza e alla Cisgiordania, e le stesse responsabilità storiche dell’Occidente.
Questo non significa, ovviamente, legittimare Hamas o ignorare il suo carattere terroristico: ma serve riconoscere che la realtà politica palestinese è molto più complessa di quanto venga spesso raccontato.
Al contrario, molti altri Paesi scelgono di riconoscere la Palestina come atto politico e simbolico per favorire un processo di pace, nonostante le difficoltà sul terreno.
Ieri in un’intervista al Corriere della Sera, il presidente palestinese Abu Mazen – atteso il 7 novembre a Roma – ha dichiarato che l’organizzazione terroristica dovrà consegnare le armi e non avrà alcun ruolo nel governo di Gaza, ma ha poi aggiunto: