Convivere serenamente con il proprio corpo è un obiettivo che accomuna tutti, ma per chi soffre di idrosadenite suppurativa non è sempre facile. Si tratta di una malattia infiammatoria cronica della pelle, conosciuta anche come “acne inversa”, che si manifesta con noduli, ascessi e cicatrici dolorose. Una patologia che non solo segna il corpo, ma incide profondamente anche sulla mente e sulla qualità della vita di chi ne è affetto.
Nella nostra Regione si stima che circa 60 mila persone convivano con questa condizione, spesso diagnosticata con anni di ritardo. Tra di loro molti giovani, costretti a fare i conti con limitazioni quotidiane e con un pesante impatto psicologico, sociale e lavorativo. L’idrosadenite suppurativa è una malattia complessa e multifattoriale: alla base c’è una predisposizione genetica, ma anche stili di vita scorretti come il fumo, l’obesità e un’alimentazione squilibrata possono aggravare il quadro clinico.
Negli ultimi anni, però, la ricerca scientifica ha compiuto passi importanti. La grande novità arriva con secukinumab, un anticorpo monoclonale in grado di bloccare l’interleuchina 17A, una proteina chiave nei meccanismi infiammatori della malattia. Questo farmaco, già utilizzato con successo per altre patologie dermatologiche autoimmuni, ha recentemente ottenuto la rimborsabilità dal Servizio Sanitario Nazionale per l’idrosadenite suppurativa ed è stato inserito nel Prontuario Terapeutico Regionale.
Un passo avanti significativo, come spiega la professoressa Nevena Skroza, specialista in Dermato-Venereologia presso la Sapienza Università di Roma – Polo Pontino. “L’idrosadenite suppurativa oggi viene affrontata seguendo un preciso algoritmo terapeutico che varia in base alla gravità della malattia: si parte da antibiotici topici o sistemici, per arrivare ai farmaci biologici o biotecnologici, fino alla chirurgia nei casi più severi. Da pochi mesi possiamo contare anche su un anticorpo anti-interleuchina 17A, capace di bloccare la principale citochina proinfiammatoria responsabile della malattia e quindi di fermare l’infiammazione alla radice.”
Secondo la professoressa Skroza, la scelta terapeutica non deve basarsi unicamente sull’aspetto clinico, ma soprattutto sull’impatto che la patologia ha sulla qualità di vita del paziente: “Molti vivono la malattia in silenzio, isolandosi per vergogna. Restituire loro dignità e fiducia è parte integrante della cura.”
Fondamentale rimane un riconoscimento precoce della malattia e un accesso rapido ai centri di riferimento. Un esempio concreto di eccellenza arriva da Roma, dove l’IDI – Istituto Dermopatico dell’Immacolata ha attivato da quasi dieci anni un ambulatorio interamente dedicato all’idrosadenite suppurativa. Oggi segue oltre mille pazienti provenienti da tutta Italia, diventando un punto di riferimento nazionale.
“Il nostro obiettivo non è solo trattare la malattia, ma restituire dignità e qualità di vita ai pazienti”, spiega il dottor Luca Fania, dirigente medico dell’IDI e docente alla Link Campus University di Roma. “La chiave è un approccio personalizzato e multidisciplinare che combini terapie innovative, supporto psicologico e ascolto. Solo una presa in carico globale consente di costruire un reale percorso di guarigione, fisica ed emotiva.”
L’esperienza dell’IDI dimostra quanto sia determinante un lavoro di squadra: accanto ai dermatologi operano nutrizionisti, psicologi, chirurghi, terapisti del dolore e infermieri specializzati. Ogni figura contribuisce a costruire un percorso su misura per ciascun paziente, fornendo strumenti pratici per gestire la malattia e migliorare il benessere quotidiano. Con diagnosi tempestiva, terapie appropriate e un approccio umano e multidisciplinare, si può davvero imparare a convivere bene con il proprio corpo, anche di fronte a una malattia cronica come l’idrosadenite suppurativa.