Vendere online è diventata un’attività episodica o continuativa molto diffusa. Le piattaforme sono tante e semplici da utilizzare: insomma, adatte a tutti coloro che hanno oggetti, vecchi vestiti o, in generale, qualsiasi cosa inutilizzata, ma che può essere ben apprezzata da altre persone.
Tuttavia, anche se episodiche (in alcuni casi), in altre diventano attività commerciali in piena regola. E allora ecco che dietro vendite occasionali, in realtà, si nasconde un chiaro tentativo di evasione fiscale.
Per questo motivo, il Fisco accende i motori e anche sulle vendite online ci saranno controlli più serrati soprattutto per stanare chi cerca di non pagare le tasse.
Negli ultimi anni vendere online è diventato un gesto quotidiano: basta un’app per dare nuova vita ai vestiti che non usiamo più o agli oggetti dimenticati in soffitta.
Un gesto semplice, che spesso nasce dal desiderio di liberare spazio o guadagnare qualche euro extra, senza immaginare di entrare nel mirino del fisco.
E in effetti, per chi vende solo occasionalmente, non ci sono tasse da pagare né adempimenti burocratici da rispettare.
Ma la situazione cambia (e non poco) se queste vendite diventano sistematiche, organizzate o addirittura orientate al profitto.
In questi casi, anche se si resta all’interno delle stesse piattaforme, l’attività può essere considerata commerciale, con tutte le conseguenze del caso: dall’obbligo di dichiarare i redditi fino alla necessità di aprire una partita IVA. E le sanzioni, se si ignora la normativa, possono essere tutt’altro che leggere.
Il vero nodo, però, sta nel confine sottile tra la vendita occasionale e quella abituale: non ci sono limiti di guadagno né un numero preciso di transazioni che faccia scattare automaticamente l’obbligo fiscale.
A fare la differenza è la natura dell’attività, il suo grado di organizzazione e la continuità con cui viene svolta.
Nel mondo delle vendite online sta cambiando tutto. Con la direttiva europea Dac7, approvata nel 2021, anche chi mette in vendita un abito, un telefono o un vecchio libro entra, di fatto, nel radar del fisco.
Dal 1° gennaio 2023, è scattata un’importante novità: le piattaforme digitali devono comunicare all’Agenzia delle Entrate i dati sulle vendite effettuate dagli utenti.
La novità nasce con un obiettivo chiaro: rendere più trasparente il mercato online e contrastare l’evasione fiscale, che nel mondo del commercio digitale spesso resta invisibile.
Se le vendite diventano frequenti, organizzate o finalizzate al profitto, anche chi pensava di essere un semplice utente potrebbe ritrovarsi a dover aprire una Partita Iva e adempiere a tutte le regole fiscali previste per i professionisti.
Chi vende online non può più contare sull’anonimato digitale. Le piattaforme sono obbligate a comunicare i dati dei venditori all’Agenzia delle Entrate, che potrà verificare la natura e la frequenza delle transazioni.
La scadenza per l’invio dei dati è fissata al 31 dicembre di ogni anno (solo per il 2023 il termine è stato posticipato al 31 gennaio 2024). Ogni piattaforma deve trasmettere le informazioni sulle vendite e sui guadagni dei propri utenti al fisco del Paese in cui ha sede, che a sua volta inoltra i dati allo Stato di residenza fiscale del venditore.
Per gli utenti italiani, i dati arrivano all’Agenzia delle Entrate, che valuterà se le operazioni configurano vendite occasionali o una vera attività continuativa. Non ci saranno richieste immediate di pagamento, ma chi risulterà svolgere un’attività abituale dovrà aprire la Partita Iva e versare imposte e contributi come un qualsiasi lavoratore autonomo.
Chi invece vende solo saltuariamente qualche oggetto usato non dovrà preoccuparsi: se l’attività è sporadica e non supera certe soglie, non sarà necessario dichiarare i ricavi né pagare imposte.
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