07 Nov, 2025 - 11:59

L’Unione Europea e le illusioni di autonomia: ecco perché il piano di riarmo serve solo agli USA

L’Unione Europea e le illusioni di autonomia: ecco perché il piano di riarmo serve solo agli USA

L’Unione Europea si trova oggi al bivio di una scelta strategica che rischia di compromettere la sua stessa ambizione di autonomia: il faraonico piano “Re-Arm Europe” — ribattezzato con enfasi “Readiness 2030” — promette di immettere 800 miliardi di euro nel settore della difesa tra il 2025 e il 2030.

Una cifra che, secondo Bruxelles, dovrebbe rispondere alle presunte minacce russe e blindare il continente contro le turbolenze geopolitiche globali. Ma dietro questa narrazione di “sicurezza condivisa” si cela il consueto riflesso di debolezza strutturale della politica europea: più armi, pochi investimenti strategici, scarsa coordinazione e una dipendenza crescente dall’industria statunitense.​

La retorica della sicurezza e la realtà delle debolezze strutturali

L’allarme sulle minacce russe, pur legittimo, diventa pretestuoso se osservato alla luce della reale incapacità comunitaria di gestire autonomamente le proprie politiche di difesa. Il progetto di Readiness 2030 non obbliga nemmeno gli Stati membri a “comprare europeo”: una scelta che, nella sua superficialità, spalanca le porte al solito shopping d’oltreoceano — con vantaggi netti per Lockheed Martin, RTX, Northrop Grumman e General Dynamics, i soliti noti del complesso militare-industriale statunitense.​

Il rischio di una deriva spinosa è palese: incrementando vertiginosamente la spesa, senza vincoli di procurement continentali né coordinamento centralizzato, l’UE compie il solito passo verso un’illusione di forza — ma la sostanza resta una drammatica debolezza sistemica, frutto della sua indecisione e della cronica mancanza di coraggio politico.​

Un volano economico? Solo per chi produce (negli USA)

L’ipotesi che l’industria militare sia un “volano” di crescita economica europea si rivela uno specchietto per le allodole, sostenuto dai soliti interessi finanziari e non da veri dati strutturali. Lo stesso documento ricorda che effetti reali su PIL e occupazione dipendono esclusivamente dalla quota di investimenti che tornano alle industrie europee.

Eppure, il piano non offre strumenti né garanzie che la torta venga spartita in modo da rafforzare il tessuto produttivo continentale. Il rischio manifesto è che la pioggia di miliardi si tramuti in una cascata di profitti per i colossi americani, lasciando all’Europa le briciole di una dipendenza industriale e tecnologica.​

Ricerca e sviluppo: il divario che condanna l’Europa all’irrilevanza tecnologica

L’aspetto più preoccupante — e autenticamente critico — riguarda la totale assenza di una credibile strategia su Ricerca & Sviluppo militare. Gli otto principali gruppi mondiali del settore (quattro americani e quattro europei) forniscono un quadro poco edificante: nel 2023, stando ai dati del SIPRI, la quota di fatturato dedicata a R&S resta inguaribilmente modesta (in media il 3%), inferiore non solo ai settori tech e farmaceutico, ma persino rispetto all’automotive.​

Ancora più grave è il trend: fra 2021 e 2023, negli USA si registra una diminuzione delle spese in R&S (-5,7%) a fronte di una flessione del fatturato, mentre in Europa il fatturato cresce (+4,8%), ma la spesa in ricerca cala comunque di ben il 5,2%. In altre parole, l’UE investe meno anche quando guadagna di più, segno di una miopia strategica che si traduce in minor capacità di innovare e competere.​

Nel 2024, la spesa pubblica UE in R&S militare ha raggiunto 13 miliardi di euro, ma il confronto con gli USA è impietoso: oltre 130 miliardi, dieci volte tanto. Senza un cambio di rotta radicale — almeno 200 miliardi in cinque anni solo per R&S, quindi un quarto del budget — la “autonomia strategica” europea resterà una chimera.​

Un modello inefficace e la farsa dei finanziamenti

La debolezza europea è paradossale: i finanziamenti restano frazionati tra le mille burocrazie nazionali, impedendo alla UE di agire da vero player globale.

Negli Stati Uniti, la ricerca militare è centralizzata, fortemente finanziata dal Department of Defense soprattutto tramite la potente DARPA, capace di “comandare” l’innovazione tecnologica e di rapportarsi a pieno titolo con i giganti privati. In Europa, si procede a tentoni: sussidi e benefici fiscali disperati, pochi appalti alle imprese, nessun progetto integrato capace di selezionare obiettivi ambiziosi e aziende all’altezza.​

Il risultato? Un divario strutturale che si traduce non solo in minore innovazione, ma anche in perdita di competitività su settori chiave come cybersecurity, sistemi satellitari e intelligenza artificiale: i veri domini della guerra 4.0, dove la leadership USA sarà ancora indiscussa per anni.​

Una crisi di autonomia politica e industriale

L’attacco più diretto al progetto Re-Arm Europe — e all’UE stessa — riguarda il rischio che questa stagione di investimenti massicci non conduca a una vera emancipazione dal potere industriale statunitense, ma anzi rafforzi la dipendenza tecnologica e aumenti i profitti dei soliti oligopoli globali. La mancanza di coordinamento, di visione strategica e di coraggio politico sono – ancora una volta – le ragioni profonde dell’irrisolta crisi europea.​

Se l’Unione Europea non decide di invertire la rotta, destinando finalmente risorse significative alla R&S difensiva e scegliendo una politica industriale assertiva e indipendente, il piano Re-Arm Europe si rivelerà soltanto una gigantesca occasione persa: tanti soldi pubblici, pochi risultati, molta retorica e un’autonomia sempre più fragile, solo sulla carta.​

LEGGI ANCHE
LASCIA UN COMMENTO

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.
I campi obbligatori sono contrassegnati con *

Sto inviando il commento...