I forfettari si trovano sempre con qualche nuova gatta da pelare. Prima la Tassa Etica, adesso una nuova proposta prevede l’esenzione dell’aliquota dell’imposta sostitutiva al 26%.
Spesso sotto la lente di accuse, critiche e novità, il regime forfettario nacque con l’obiettivo di semplificare gli adempimenti e gli oneri per le Partite Iva, per così dire “piccole”. In realtà, da un po’ di tempo a questa parte, si sta intervenendo molto spesso sui forfettari.
Adesso, è il turno della proposta di un’aliquota più alta. Ma sarà per tutti? In questo articolo, vediamo cosa prevede la proposta, chi potrebbe pagare il 26% e perché.
Il regime forfettario ritorna nuovamente al centro del palco, catturando l’attenzione di molte Partite Iva. Il motivo è la proposta di alzare l’aliquota dell’imposta sostitutiva al 26%.
La proposta è arriva dall’Istituto Nazionale Tributaristi (INT) che, in occasione della audizione sull’atto 1689 riguardante la manovra 2026 alla Commissione Bilancio del Senato, ha proposto un nuovo regime forfettario per il 2026.
Facciamo un passo indietro. Per accedere al regime forfettario, la normativa ordinaria stabilisce che il reddito da lavoro dipendente o da pensione non debba superare i 30.000 euro al 31 dicembre dell’anno precedente. In altre parole, chi percepisce uno stipendio o una pensione può entrare nel regime forfettario solo se i suoi guadagni da queste fonti restano al di sotto di questa soglia.
Per l’anno 2025, la Legge di Bilancio ha innalzato temporaneamente questo limite a 35.000 euro, e la Legge di Bilancio 2026 prevede di mantenerlo per un altro anno.
È importante notare che questo aumento non vale se il rapporto di lavoro dipendente o assimilato si è concluso entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello in cui si vuole aderire al regime forfettario.
L’INT ha proposto che, in futuro, il limite potrebbe essere ulteriormente innalzato oltre i 35.000 euro. In questo caso, però, l’aliquota sostitutiva passerebbe al 26% invece del 15% previsto normalmente (o del 5% per i primi cinque anni di attività). L’idea è ampliare la possibilità di accesso al regime forfettario, pur riducendo leggermente i vantaggi fiscali offerti dal regime stesso.
Spesso si sente dire che il regime forfettario sia “ingiusto”, perché sembra favorire le Partite Iva rispetto a chi lavora con il regime ordinario o ai dipendenti nel primo scaglione Irpef, dove l’aliquota è del 23% e cresce gradualmente con l’aumentare del reddito.
Non molti mesi fa si era addirittura arrivati a immaginare la sua abolizione o, più fattibilmente, la sua profonda revisione.
Ma la realtà è un po’ diversa: questo regime nasce soprattutto per aiutare le piccole Partite Iva a sopravvivere.
Il regime forfettario serve proprio a semplificare tutto questo, riducendo la burocrazia e permettendo a chi ha una piccola attività di concentrarsi sul lavoro senza essere schiacciato dai conti.
Senza questa possibilità, molte piccole realtà rischierebbero di non riuscire a continuare a operare nel regime ordinario.
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