In un mondo che ormai sembra aver smarrito ogni bussola morale, anche il passato più ingombrante viene archiviato sotto il tappeto della convenienza geopolitica.
Eccoci allora al paradosso del giorno: Ahmad Al Shaara, noto ai più come Al Jolani, già leader di Al Nusra e figura di spicco tra i jihadisti di Al Qaeda, oggi presidente “ripulito” della nuova Siria, accolto con tutti gli onori del caso alla Casa Bianca da Donald Trump.
Fa quasi sorridere (o piangere) ripensare che, non molti anni fa, sugli schermi della CNN e sulle bacheche della CIA campeggiava una taglia da dieci milioni di dollari sulla testa di Al Shaara, all’epoca noto come Al Jolani, boss del braccio siriano di Al Qaeda.
Era “il nemico pubblico numero uno”, perseguito dall’antiterrorismo occidentale, incarcerato in Iraq e considerato incarnazione stessa dell’oscurantismo jihadista.
Un curriculum di tutto rispetto per chi oggi viene ricevuto nello Studio Ovale, pronto a stringere mani, sorridere alle telecamere e promettere “nuove alleanze contro il terrorismo”.
Del resto, l’Al Shaara 2.0 è il prodotto più raffinato della Realpolitik americana: da ex miliziano incarcerato nei centri di detenzione Usa in Iraq, sdoganato in nome della necessità, a presidente presentabile, poggiato sulla rottura tra Damasco e Teheran, con buona pace della storia recente e delle vittime dei suoi ex compagni di jihad.
Il senso di surreale non si esaurisce nell’incontro formale. Da quando Al Shaara, con le sue milizie ora ribattezzate “Hayat Tahrir al-Sham”, ha rovesciato l’ultraventennale regime di Assad, Washington si è precipitata a celebrare il “nuovo corso siriano”: via le sanzioni, benedizione “per la pace” e promesse di inserire la Siria nella coalizione anti-Isis.
Come se non fosse stato Sharaa, fino a ieri, a fomentare quella stessa galassia jihadista che ora assicura di voler combattere fianco a fianco degli americani.
Non manca la prudenza di facciata: il vertice si è svolto lontano da occhi indiscreti, niente bandiere siriane alla Casa Bianca, ingresso secondario per l’ospite “imbarazzante”.
Ma la sostanza non cambia: il nuovo assetto siriano conviene strategicamente a Washington (e a Israele), perché riduce la sfera d’influenza di Russia e Iran, e regala all’America una carta da giocare sul tavolo infuocato del Medio Oriente.
Per chi mastica la storia americana in Medio Oriente, questa sceneggiata non rappresenta certo un inedito.
Da sempre gli Stati Uniti si vantano di “combattere il terrorismo”, salvo poi chiudere più di un occhio quando il nemico di ieri può essere utile contro quello di oggi.
L’elenco è lungo: prima Saddam Hussein (finché serviva contro l’Iran), poi Osama bin Laden ai tempi dei mujaheddin, e ora Ahmad Al Shaara, l’ex ombra del Califfo che magicamente si trasforma in controfigura della democrazia.
Questa ambiguità strategica resta la vera costante della politica USA: si lanciano bombe, si piazzano taglie, si fanno proclami, ma quando i giochi di potere cambiano, basta una pacca sulla spalla per riscrivere la narrazione, magari con il colpo di teatro di una stretta di mano nello Studio Ovale.
Ecco allora che l’ex terrorista, con un passato da detenuto nei lager iracheni a stelle e strisce, oggi comunica urbi et orbi il proprio ravvedimento.
Ha cacciato l’Assadismo e promuove la Siria come “nuovo partner dell’Occidente”, eseguendo le retate contro le cellule dell’Isis che, paradossalmente, potrebbero essere ancora composte in parte da suoi ex alleati.
Gli Stati Uniti, con la loro proverbiale memoria corta a geometria variabile, archiviano così l’accusa di “golpista estremista” in nome del nuovo assetto.
Anzi, con Trump al comando, la “nuova Siria” di Al Shaara viene contrabbandata come esempio di conversione a uso e consumo di un’opinione pubblica sempre più distratta dalla narrazione mainstream.
Chissà come la vedono ora, tra le rovine di Aleppo, i parenti delle vittime del jihadismo, o i generali a cui era stato ordinato di eliminare “a ogni costo” questo stesso Al Shaara che oggi gioca a basket coi militari americani.
Più probabilmente, si limitano a prendere atto che in politica estera, né il sangue né il dolore restano mai indelebili: basta una crisi di nervi del Pentagono, e il “peggior nemico” si trasforma in compagno di squadra.
Se questa è la nuova etica delle relazioni internazionali, vale tutto: perfino un ex jihadista può dare lezioni di “lotta al terrorismo” dalle poltrone della Casa Bianca.
Alla fine, il vero colpo di scena non è vedere Al Shaara ospite a Washington, ma constatare che l’ambiguità americana, ancora una volta, ha vinto su tutto.
Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.
I campi obbligatori sono contrassegnati con *