Un delitto che sembra ancora tutto da risolvere. Parliamo dell'omicidio di Chiara Poggi, avvenuto 18 anni fa a Garlasco. Nonostante la condanna di Alberto Stasi, la Procura di Pavia ha riaperto le indagini, ipotizzando uno scenario differente rispetto a quello finora acclarato dalla giustizia. Andrea Sempio, amico del fratello della vittima, è stato iscritto nel registro degli indagati a marzo 2025.
In questi mesi di nuove perizie e approfondimenti, sono emersi gli errori e le anomalie che hanno caratterizzato la prima fase investigativa del 2007.
"L'impronta 33 sulla scala, un dettaglio ignorato che avrebbe potuto risolvere tutto, è solo la punta dell’iceberg," spiega Luigi Grimaldi, documentarista e autore tv, in un'intervista video a TAG24.
Grimaldi evidenzia subito un elemento fondamentale: "L'impronta 33 è un caso nel caso, un'impronta lasciata sulla scala che avrebbe potuto essere determinante per identificare l'assassino. Già a occhio nudo, dalle fotografie scattate dal RIS il 16 agosto, si vedeva una traccia evidente con la strisciata della mano sulla parete. Il giorno dopo, il pubblico ministero chiese a Stasi se si fosse appoggiato proprio in quel punto e lui negò, dicendo di essersi appoggiato solo dalla parte opposta, e al primo gradino".
Questa impronta rappresenta un punto centrale non sfruttato adeguatamente: tra gli errori più clamorosi c'è infatti la modalità di rilievo delle tracce digitali, con l’uso sbagliato della ninidrina che, a contatto con l'intonaco, ha dato risultati falsati e compromesso la possibilità di recuperare il DNA.
Un altro aspetto critico che Grimaldi sottolinea è l’affollamento della scena del crimine, dove più di trenta persone entrarono fin dal primo giorno, alterando e contaminando le tracce. "Sul pavimento si era formato un pantano di polvere e acqua usati nella ricerca delle impronte digitali, cancellando molte tracce importanti".
Inoltre, il documentarista parla di evidenti lacune nelle perizie, come la mancata analisi di oggetti che potevano contenere prove fondamentali.
"In cucina sono rimasti due cucchiaini non repertati e non analizzati, mentre sul divano è stato spostato un cinghietto di cuoio, potenzialmente ricco di tracce di DNA".
Non meno grave è stata la gestione del bagno, luogo chiave della scena del crimine, dove ci sarebbero state numerose impronte, nonché diversi altri elementi, non considerati. Infine, sottolinea, in casa di Alberto Stasi non sono state mai cercate eventuali tracce di sangue.
Sul piano investigativo vi è stato inoltre un approccio induttivo fallace da parte degli inquirenti. "Si è partiti dall’assunto che l’assassino fosse tra gli affetti stretti della vittima, e questa ipotesi ha guidato l’indagine escludendo quasi a priori altre piste".
Questa strategia, secondo Grimaldi, ha portato a un andamento dell’indagine che non ha consentito di seguire tutte le piste possibili in modo equo e rigoroso. Tale orientamento ha alimentato la sensazione di ingiustizia nella collettività, la quale da anni si interroga su chi sia stato davvero l’autore del delitto.
Un altro nodo importante affrontato riguarda la normativa sul procedimento in caso di sospetti errori giudiziari. Secondo Grimaldi, "In Italia manca una normativa chiara che consenta agli organi investigativi e all’autorità giudiziaria di aprire d’ufficio indagini in presenza di forti indizi di errori giudiziari”.
Per questo, la recente riapertura dell’inchiesta è un segnale importante che “dimostra come la magistratura e le forze dell’ordine oggi abbiano gli anticorpi per intervenire e correggere errori, anche gravi, del passato”.
Infine, Grimaldi sfata alcune teorie che sono nate attorno al delitto, come quella di presunti collegamenti con il Santuario della Madonna della Bozzola rivelati da Flavius Savu, l'uomo condannato in via definitiva a 5 anni di carcere per estorsione nei confronti dell'ex rettore don Gregorio Vitali.
Savu ha dichiarato che Chiara Poggi "aveva scoperto un giro di scandali sessuali nel santuario e aveva detto che avrebbe parlato". Secondo Grimaldi si tratta di un racconto senza alcun fondamento, in quanto ha avuto modo di conoscere Savu e di parlare con lui in passato.
In conclusione, il documentarista sottolinea che, pur tra tante difficoltà, questa drammatica vicenda rimane un nodo cruciale nella giustizia italiana, un caso che continua a suscitare forte interesse e che spinge a riflettere sulla necessità di migliorare procedure investigative e normative per garantire verità e giustizia.
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