I detenuti della Casa di reclusione di Rebibbia, a Roma, hanno denunciato una grave mancanza all’interno dell’istituto penitenziario, caratterizzato da una presenza di medici di molto inferiore a quanto servirebbe.
In carcere ci si ammala tanto e curarsi è sempre più difficile, malgrado l’encomiabile impegno dei medici presenti negli istituti. Ma sono sempre meno.
L’appello è portato avanti in primis dal carcere romano ma potrebbe tranquillamente essere applicato ad ogni istituto penitenziario, per questo è stato rivolto oltre che al presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, anche alla Federazione nazionale degli Ordini dei medici.
Rebibbia, l’appello dei detenuti: Per noi il diritto alla salute e alla cura è messo in discussione
Ad essere portavoce di questa protesta è il notiziario che è stato ideato da alcuni detenuti interno al carcere, intitolato Non tutti sanno. Il testo definitivo porta poi la firma di Roberto Monteforte, giornalista coordinatore di quella redazione.
La crisi della sanità pubblica e la mancanza di risorse, infatti, colpiscono in modo diretto e pesante i livelli di assistenza sanitaria, le condizioni di vita e di lavoro dei medici, ma anche quelli della popolazione detenuta che già oggi sconta la carenza di assistenza sanitaria, la difficoltà ad usufruire in tempi efficaci di esami clinici e prestazioni specialistiche anche per i limiti posti dalla detenzione e dal sovraffollamento delle carceri. L’effetto è che per noi il diritto alla salute e alla cura è messo in discussione. Lo sarà ancora di più se, come abbiamo constatato, risultano sempre meno i medici che decidono di prestare la loro attività nelle carceri.
La sanità pubblica resta l’unica via percorribile per chi è in carcere
I problemi che affliggono il Servizio Sanitario Nazionale sono ben noti a tutti, dalle liste di attesa infinite al numero di medici che sta diminuendo sempre più. Pur con tutte le difficoltà del caso, tuttavia, per coloro che non si trovano in uno stato detentivo resta percorribile la via della sanità privata. Lo stesso non si può ovviamente dire per i detenuti, che possono avvalersi solo e soltanto del servizio pubblico.
Per noi la sanità pubblica rappresenta l’unico strumento di tutela della nostra salute, del nostro diritto alla cura, della nostra dignità di cittadini e di persone, di futuro possibile. Vorremmo non fosse dimenticato.