Nella tempesta dell'era digitale, in cui si parla di Intelligenza Artificiale e lavoro a rischio, il Professor Antonio Cocozza, esperto di sociologia del lavoro e delle organizzazioni, docente presso l’Università degli studi di Roma Tre, delinea i contorni dell'imminente rivoluzione nel mondo del lavoro in relazione al futuro (e in parte già presente) intervento della tecnologia di base che permette di imitare processi dell'intelligenza umana.
In un'intervista a Tag24, il Professor Cocozza ha gettato una luce acuta sulla tempesta imminente: l'ingresso sempre più inarrestabile delle intelligenze artificiali nei campi una volta dominati esclusivamente dall'ingegno umano.
D: Quali possono essere in un futuro gli aspetti positivi e quali quelli negativi dell'Intelligenza Artificiale nel mondo del lavoro?
R: Il ruolo dell'innovazione tecnologica organizzativa dell'intelligenza artificiale e la forte trasformazione in atto è inarrestabile. La pervasività dell'azione dell'intelligenza artificiale è destinata a coinvolgere tutti i settori e tutte le attività lavorative, ma anche di vita sociale. Sono destinati a cambiare i processi produttivi, l'assetto degli orari, le relazioni di lavoro, nonché la realtà quotidiana, poiché vengono ad essere rimodulati i tempi, la qualità degli stili di vita.
Si discute tanto di riduzione dell'orario di lavoro, se questo sia positivo o negativo. Dipende, se è una riduzione a parità di stipendio o se è una riduzione che tiene conto del quantitativo di lavoro in ore. Ma sicuramente la prospettiva è che lavoreremo tutti meno.
Antonio Cocozza ha integrato la sua profonda conoscenza della società nel mondo del lavoro con il discorso sull'automazione crescente e sulle implicazioni sulle professioni tradizionali.
Non ignora decisamente il fatto che molte mansioni, una volta esclusivamente affidate agli esseri umani, saranno svolte un giorno dalle macchine, tuttavia, non crede che non esisterà più il mondo del lavoro:
D: Alla luce di questo discorso, il Professor Domenico De Masi, sociologo recentemente scomparso, affermava che un giorno tutti i lavori sarebbero stati svolti da robot e intelligenze artificiali, tutti i cittadini avrebbero preso il reddito di cittadinanza. Lo vede come uno scenario possibile?
R: Non credo avverrà. Non condivido l'ipotesi secondo cui non lavoreremo più. La società del non lavoro non penso abbia spazio. Lavoreremo, ma lavoreremo in modo diverso. Per comprendere questo, c'è bisogno di un approccio multidimensionale e interdisciplinare. Dobbiamo osservare la dimensione tecnica, ma anche quella sociale, di relazioni umane. L'azienda diventa una struttura all'interno della quale vi sono persone con una propria strategia e un sistema di valori e di obiettivi. Bisogna far si che questi obbiettivi diventino congiunti e non dei singoli soggetti.
C'è già in atto una polarizzazione delle imprese, dove si possono distinguere le imprese che producono dei beni o forniscono dei servizi standard, e che quindi hanno un lavoro ripetitivo, o con una parte considerevole di attività molto basic, dove non c'è bisogno di grandi contenuti e di grandi competenze. Questo tipo di lavoro potrebbe essere sostituito dagli algoritmi o da lavori svolti da sistemi di robotica collegata all'intelligenza artificiale.
Quindi se il nostro mercato del lavoro e il nostro quadro di produzione a livello globale si pone a un livello basso, allora, l'impatto sarà molto forte. Se viceversa, invece, noi abbiamo una struttura produttiva capace di fornire servizi e prodotti di alto profilo con un alto livello di innovazione, di personalizzazione, allora questo non è in discussione.
Anche se poi ovviamente dovrà aggiornarsi rispetto ai cambiamenti. E' un po' l'idea di riportare alla luce le competenze artigiane in un mondo sempre più innovativo e personalizzato.
D: Si può parlare perciò di danno o di progresso, cosa dobbiamo aspettarci da qui a 50 anni?
R: Partendo da un'elaborazione del grande Umberto Eco, che ci da delle indicazioni importanti, se noi scriviamo a macchina, anziché con la penna, questo può essere considerato un progresso. Ma se invece scriviamo con un computer, con i programmi dell'intelligenza artificiale, acquisisco una potenzialità che cambia la mia impostazione mentale. Io mi accorgo di svolgere un ruolo completamente diverso.
Bisogna fuggire da un approccio rispetto ad un'innovazione condotta dall'intelligenza artificiale come apocalittici o integrati. Dobbiamo avere un rapporto più etico. Del resto, ce l'hanno anche i padri fondatori dell'AI, di alcuni programmi.
Questi ancora oggi si chiedono com'è possibile creare delle situazioni dove c'è un rispetto dei dati personali, non c'è la violazione della privacy, com'è possibile rispettare principi etici e collettivi. Solo in questo modo, se c'è una trasformazione, un'apertura, un coinvolgimento delle persone, è possibile di parlare di progresso sociale. Altrimenti, il rischio che corriamo, è che le grandi imprese e multinazionali controllino le nostre azioni attraverso quella che si chiama profilazione, propongono dei prodotti da acquistare e noi rischiamo di acquistarli anche se non ci servono.
D: Quali sono i lavori dove l'intelligenza artificiale predominerebbe subito, quali, invece, i lavori dove servirà per sempre l'intervento umano?
R: Un esempio può essere nel settore bancario, del credito. Faccio un esempio con due figure professionali: il cassiere e il consulente.
L'attività lavorativa del cassiere è a fine corsa. Ormai ci sono casse automatiche, ci sono app, ci sono modalità diverse di entrare in una banca online e quindi non c'è più bisogno del rapporto con il cassiere. Con il consulente invece si, perché il consulente può dare delle informazioni assolutamente importanti per svolgere tutte le operazioni che di solito svolgiamo con una banca. Il cassiere, che fino agli anni scorsi era vista come un'attività lavorativa invidiabile in questo settore, adesso non è più di prim'ordine.
D: Alla luce di quello che ci aspetta nel mondo del lavoro, quali facoltà di studi consiglia ai giovani di scegliere per poter trovare lavoro più facilmente e, soprattutto, per non poterlo perdere rapidamente?
R: Io darei questo consiglio: scegliere un percorso scolastico universitario su un argomento di interesse e non fare delle scelte che sono filtrate da genitori, amici o altri soggetti, perché se noi siamo impegnati su un argomento e una tematica che ci interessa, abbiamo dei risultati migliori rispetto a tematiche che non sono di nostro interesse. Quindi seguire la propria strada.
Se volessimo comunque fare un elenco di lauree forti, rispetto alle lauree deboli, quello è già scritto ovunque: sono quelle di economia, di ingegneria, o quelle degli intrecci come ingegneria gestionale o economia internazionale.
D: In merito all'intervento delle AI, tra le varie facoltà di studi in ambito universitario, qual è il settore più a rischio?
R: Il settore più a rischio può essere il settore della giustizia, inteso come avvocati e i notai. E' un problema però di inquadramento giuridico in Italia in quest'ultimo caso, perché il lavoro che viene fatto è ripetitivo e non c'è grande creatività. Dove c'è un livello di interazione, invece, c'è meno rischio. Non è un caso che spesso dove ci sono problemi tecnici si richieda poi anche l'intervento di filosofi e questo ce l'ha insegnato anche Adriano Olivetti che ha inscritto un'impresa aperta a tutti i saperi e ha creato una condizione per avere successo a livello internazionale.
D: Per il futuro del lavoro, considerando anche l'intervento AI, c'è spazio per le facoltà umanistiche, quindi?
Oggi quello di cui c'è bisogno è una riunificazione del sapere scientifico con il sapere classico, delle lettere classiche. C'è perciò bisogno di imparare a pensare, imparare ad elaborare e non solo applicare.
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