Carriera alias e "propaganda di genere": questi i principali temi affrontati oggi nel convegno "Un Manifesto europeo per proteggere i minori dalla propaganda gender" organizzato dall'Associazione Non si Tocca La Famiglia e dall'Osservatorio di Bioetica di Siena.
Durante l'incontro, avvenuto nella Sala del Refettorio di palazzo San Macuto alla Camera dei Deputati, diversi ospiti hanno espresso il loro parere circa la necessità di "contrastare nelle scuole, nei media e sul web il contagio sociale dell'ideologia gender".
Gli scopi dell'incontro e le constatazioni da cui nasce questo attivismo contro l'introduzione di percorsi di carriera alias nelle scuole sono raccontati oggi, in questa intervista ai microfoni di TAG24.it, dalla presidente dell'Associazione Non si Tocca La Famiglia, Giusy D'Amico.
Giusy D'Amico, partiamo dall'inizio: di cosa si occupa la vostra associazione e con quale scopo nasce il convegno tenutosi oggi?
«Non si Tocca La Famiglia nasce del 2014 come un'associazione di genitori che, preoccupati dalla dilagante emergenza educativa, decidono di voler affermare il primato delle famiglie soprattutto in risposta a una serie di proposte che arrivavano dalle scuole.
Il convegno di oggi, organizzato insieme all'Osservatorio di Bioetica di Siena, nasce invece a seguito della pubblicazione, anche qui in Italia, del Manifesto europeo dell'Osservatorio La Petite Sirène, in cui sono raccolti i pareri di psicologi, neuropsichiatri e docenti che si interrogano sulle conseguenze delle teorie affermative in ragazzi con presunta certificata disforia del genere.
Questo Manifesto ha infatti iniziato ad accendere i riflettori sul possibile contagio sociale dovuto alla propagazione, sui social e sui media, del messaggio per cui è facile poter cambiare sesso».
Cosa avete fatto dunque?
Noi abbiamo deciso di contattare i rappresentanti francesi e belga di questo Manifesto e abbiamo organizzato in ottobre un lancio pubblico al Campidoglio. Peccato, tuttavia, che il Comune abbia silenziato la nostra organizzazione perché a loro giudizio il tema è divisivo.
Noi, comunque, non ci siamo arresi e abbiamo continuato nel nostro lavoro. Abbiamo così avviato altre collaborazioni in Europa (Ungheria, Polonia e San Marino) e abbiamo tradotto il Manifesto, facendolo firmare a tantissimi professionisti.
Il nostro obiettivo è arrivare anche in Italia alla produzione di linee guida che raggiungano un grado di prudenza nella somministrazione dei bloccanti della pubertà. Vogliamo infine che si fermi tutta quella propaganda che rischia di travolgere e coinvolgere i ragazzi sin da piccoli. Le scuole sono al centro della nostra attenzione».
A cosa si riferisce quando parla di propaganda?
«Un esempio lampante è la carriera alias nelle scuole, la quale rende lecito il cambio del nome nel registro elettronico del ragazzo o della ragazza che percepisce il suo genere come diverso dalla sua identità sessuata.
Dal nostro punto di vista si tratta di un'operazione estremamente pericolosa dal punto di vista dell'indottrinamento.
Il messaggio che si fa passare è che sia un qualcosa di facile, quando invece ci sono dei rischi non solo per la salute ma anche per la costruzione identitaria che talvolta si sistema con la crescita e che rientra con la maggiore età se si è accompagnati in maniera puntuale in un percorso.
Noi chiediamo che siano emanate delle linee guida ispirate a una maggior precauzione e prudenza. Tanti Paesi si sono trovati a dover far marcia indietro dopo alcuni errori clamorosi: pensiamo al caso di Keira Bell e della clinica Tavistock di Londra, poi chiusa.
Proprio questa storia mostra chiaramente come si debba far attenzione a questi tentativi lesivi della costruzione identitaria dei nostri bambini e ragazzi».
L'attivazione carriera alias, tuttavia, in Italia riguarda attualmente solo 250 scuole e comunque richiede il consenso della famiglia del minore. Perché questa preoccupazione nel momento in cui non si tratta di un qualcosa di obbligatorio ma di una semplice possibilità?
«È vero, non è obbligatorio e siamo fieri del fatto che in Italia sia necessario l'uso del consenso informato preventivo dei genitori. Si tratta infatti di una vittoria raggiunta proprio da noi nel 2018. Tuttavia il problema è che la carriera alias viene applicata, in tantissimi casi, senza che sia un passaggio attraverso gli organi collegiali scolastici.
Il tema è che non c'è un fondamento giuridico e c'è un vuoto legislativo in materia. In più il protocollo che viene attuato non è stato mai autorizzato, non esistendo una circolare o una normativa che dia indicazioni in questo senso.
Il risultato è che gli Istituti che applicano la carriera alias si appellano all'autonomia scolastica, ma in realtà compiono un abuso».
Dunque la soluzione da voi auspicata è la regolamentazione da parte del ministero e non una negazione della possibilità di inserire la carriera alias nelle scuole?
«Noi pensiamo che, come per quanto avviene per i gruppi di lavoro operativo (GLO) si regolamenti la questione, magari con il contributo di un team di esperti e delle rappresentanze dei genitori e dei docenti, che, con la supervisione di specialisti, possano valutare i casi e i percorsi per accompagnare questo tipo di disagi che non devono coniugarsi necessariamente in un cambio di nome.
Lo stesso vale per i cosiddetti bagni transgender. Perché fare un bagno neutro dove magari delle ragazze possono trovarsi inibite? Si tratta di operazioni delicate e pericolose che non devono entrare nelle scuole con dei protocolli ideologici piantati come bandierine. Troppi fattori non sono stati approfonditi».
Le associazioni come Non si Tocca La Famiglia sono spesso percepite come omofobe. Facciamo chiarezza: nella vostra attività voi negate l'esistenza della disforia di genere e della necessità dei percorsi di transizione?
«La disforia di genere certamente esiste, ma proprio perché è dilagante tra i giovani occorre trovare un'alternativa che li accompagni, li sostenga e li curi attraverso metodologie che non incidano in modo così determinato».
Cosa intende per cure? Ritiene che dopo un percorso controllato con i medici sia accettabile la transizione?
«Dal percorso solitamente è molto difficile che arrivi una certificazione puntuale. Spesso sono inizi di terapie in cui viene identificato un disorientamento, cosa ben diversa da percorsi che durano da anni.
I ragazzi devono essere seguiti se c'è un disagio, ma è importante ascoltare anche tutti gli attori che si occupano della cura dei bambini. Non basta un certificato del medico di base, servono psicologici, esperti, medici. Troppi aspetti vengono sottovalutati in una dimensione così seria quale l'identità di un ragazzo o di una ragazza che peraltro sono in fase di crescita».
In questi giorni si parla di educazione affettiva e sessuale. Cosa ne pensa?
«La nostra associazione ha presentato 14 proposte di percorsi di educazione affettiva e relazionale alla non discriminazione e alla non violenza al ministero della Pubblica Istruzione. Tuttavia non crediamo sia questa la soluzione alla violenza che oggi impera.
La violenza non è solo nei ragazzi, ma anche nelle ragazze. Eppure non se ne parla.
La nostra idea è che vadano accompagnate le famiglie. I genitori devono essere aiutati a capire come interfacciarsi magari con un figlio problematico che cresce all'ombra dei social, dove circolano modelli educativi che ovviamente non sono da imitare.
Pensiamo a OnlyFans, dove centinaia di ragazzine vendono il loro corpo su una piattaforma in cui guadagnano milioni. Chiaro che passa un messaggio educativo sbagliato nel quale la famiglia deve intervenire. Nel mondo della pornografia online ci sono dinamiche che istigano allo stupro e alla violenza.
Le nostre proposte ci sono: ora aspettiamo di essere auditi per poter dare un contributo importante».