La premier Giorgia Meloni ha confermato, ieri, la volontà di procedere con un piano di privatizzazioni da qui ai prossimi tre anni, ribadendo l'obiettivo ambizioso di cedere 20 miliardi di asset di società partecipate e di società interamente gestite dallo Stato entro il 2026.
Intervistata da Nicola Porro, la presidente del Consiglio ha preferito tuttavia non sbilanciarsi sull'argomento, non rivelando alcun dettaglio sul piano di privatizzazioni in programma e limitandosi a confermare l'esistenza di un ragionamento in corso su un possibile ingresso di investitori privati in Ferrovie dello Stato.
Ad essere annunciati, di fatto, sono stati solo alcuni principi che guideranno le operazioni: il mantenimento del controllo dello Stato dove "fondamentale" e l'assicurazione che non saranno favoriti "fortunati amici imprenditori" come, secondo la premier, avvenuto in passato.
Ed è proprio la vaghezza della premier Meloni sui dettagli del piano di privatizzazioni da 20 miliardi che il Governo intende completare entro il 2026 a suscitare, oggi, l'aspra critica del senatore dem Antonio Misiani.
Raggiunto da TAG24, il Responsabile economia, finanze, imprese e infrastrutture del Pd ha infatti sottolineato come il Governo intenda fare cassa sui "pezzi più pregiati del sistema produttivo italiano", così da colmare i buchi determinati dall'inerzia mostrata nell'affrontare "i nodi decisivi della finanza pubblica" del Paese.
Senatore Misiani, come giudica la strategia del Governo per le privatizzazioni?
«La giudico sbagliata nel metodo e nel merito, anche perché a oggi non esiste un vero e proprio piano di privatizzazioni. O perlomeno in Parlamento non lo abbiamo visto: non c'è infatti un elenco delle aziende interessate né da una ipotesi delle quote che il Governo intenderebbe cedere né un disegno di politica industriale legato al piano di dimissioni.
Se le cose rimarranno così, pertanto, quella del Governo non sarà altro che un'operazione che, per fare cassa, porterà alla svendita di pezzi pregiati del sistema produttivo italiano. In altre parole, una vera e propria abdicazione dello Stato verso gli obiettivi di politica industriale».
Contesta al Governo, dunque, una mancanza di visione strategica?
«Basta guardare quanto è avvenuto, a fine novembre, con la cessione del 25% di Mps. La cessione è avvenuta a 2.92€, senza che ci fossero vincoli stringenti da Bruxelles per le tempistiche; oggi i titoli quotano 3.23€. Sarebbe bastato aspettare qualche mese e lo Stato avrebbe ricavato oltre il 10% in più dall'operazione.
Un altro nodo critico, poi, è dato dal fatto che per molte delle società in questione, il risparmio - in termini di minori interessi sul debito pubblico derivanti dalla cessione - rischia di essere inferiore ai dividendi a cui si andrebbe a rinunciare. Il risultato, dunque, sarebbe un'operazione negativa anche dal punto di vista dei conti pubblici».
Ritiene che il raggiungimento di un piano privatizzazioni da 20 miliardi di euro in tre anni sia realistico?
«Parliamo di una cifra che mediamente è stata dismessa negli ultimi dieci anni. Dunque no, si tratta di un obiettivo estremamente irrealistico che, se perseguito dal Governo, porterà lo Stato fuori strada, indebolendone il ruolo nelle politiche industriali. Il tutto in una fase in cui l'Europa va nella direzione esattamente opposta».
Cosa ha pensato dell'affermazione della premier per cui le privatizzazioni non saranno gestite con "regali milionari a fortunati imprenditori ben inseriti"?
«Ma la premier i regali li sta già facendo, regalando affari d'oro ai fondi speculativi stranieri. Voglio ricordare che questo Governo sta avallando la cessione di un asset strategico per il Paese, ovvero la rete di telecomunicazioni, a favore di Kkr, un fondo infrastrutturale americano. La Giorgia Meloni di due anni fa avrebbe definito questa operazione come una follia».
A cosa è dovuto, a suo giudizio, questo cambio di giudizio da parte della premier?
«Al fatto che il Governo, per più di un anno, è rimasto con le mani in mano tanto sul fronte del recupero dell'evasione fiscale quanto su quello della revisione della spesa pubblica.
Oggi, pertanto, l'esecutivo è messo alle strette e, dopo aver finanziato in deficit la manovra di Bilancio, è costretto a programmare 20 miliardi di privatizzazioni per evitare un ulteriore aumento del debito pubblico in rapporto al Pil. Ecco perché queste scelte non sono che la conseguenza dell'inerzia del Governo nell'affrontare i nodi decisivi della finanza pubblica».