La vicenda di Ilaria Salis, la maestra di Monza detenuta in Ungheria per una presunta aggressione del febbraio 2023 a due manifestanti di un corteo neofascista a Budapest, agita la politica nazionale e internazionale. Continua, infatti, il braccio di ferro tra opposizioni e governo sulla possibilità di intercedere con il premier ungherese Orban per porre fine al trattamento indegno che la cittadina italiana sta ricevendo in Ungheria. Ma può davvero il governo italiano fare pressione su quello ungherese? E fino a che punto può spingersi questa azione? TAG24 ha chiesto al professor Luigi Zuccari, docente di Diritto internazionale dell'Università Niccolò Cusano, di fare un po' di chiarezza sul caso Salis, nel quale i confini di politica e giurisprudenza si mischiano e confondono.
La posta in gioco, nella vicenda che vede coinvolta Ilaria Salis, è molteplice. Da un lato, c'è la tutela della salute, della dignità e della vita di una cittadina italiana detenuta all'estero in condizioni vergognose; dall'altro, ci sono fragili equilibri internazionali che rischiano di essere pregiudicati da questo caso giudiziario.
Su quest'ultimo punto si innestano le polemiche di politica interna, con le opposizioni guidate dal Partito democratico che invocano un'azione più energica della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, soprattutto a seguito della decisione del giudice di negare gli arresti domiciliari alla donna.
Su questo, inoltre, è durissima la presa di posizione di Roberto Salis, padre della donna, che ha parlato di "brutta figura" del governo italiano, che "può e deve fare qualcosa in più perché mia figlia non sia trattata come un cane". Una richiesta che parte dal presupposto che le condizioni carcerarie di sua figlia dipendano direttamente dal governo ungherese presieduto da Viktor Orban, su cui Salis chiede di fare pressione.
Proprio dalle parole di Roberto Salis inizia il confronto con il professor Luigi Zuccari dell'Unicusano.
D. Professor Zuccari, è vero quanto affermato da Roberto Salis?
R. È tutto vero. Le guardie carcerarie, così come il direttore del carcere in cui è detenuta Ilaria Salis sono, secondo il diritto internazionale, organi di governo che agiscono per nome e per conto dello Stato. Le loro azioni, in quanto organi, sono imputabili allo Stato ungherese e al governo di Viktor Orban.
Un esempio per rendere il quadro più chiaro può essere la vicenda dei Marò del 2012 [il caso di due fucilieri di marina italiani, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, accusati di aver ucciso due pescatori indiani. N.d.r.]. I due erano militari che si trovavano su una nave commerciale privata e che stavano prestando servizio per conto del Ministero della Difesa. Le azioni da loro commesse hanno comportato per l'Italia una responsabilità internazionale, tanto che l'arbitrato internazionale che li ha poi rimandati in Italia, ha imposto al nostro Paese - non ai Marò - il pagamento di oltre un milione di euro di risarcimento a favore dell'India, per aver interferito con la libertà di navigazione in alto mare.
D. C'è, quindi, la possibilità di agire dell'esecutivo italiano su quello ungherese?
R. Il primo passaggio che, però, esula dalle mie competenze, è quello della pressione politica. La presidente del Consiglio Meloni potrebbe intavolare un piano di contrattazione con il governo ungherese che metta in gioco interessi politici, economici o commerciali, al fine di ottenere risposte concrete in merito al caso Salis. Le cose che si possono fare, da una prospettiva puramente giuridica, sono tante ma queste esulano dal piano giuridico che più mi compete.
Per quanto riguarda il profilo strettamente giuridico, il prof. Zuccari conferma l'esistenza di tre strade offerte dal Diritto internazionale.
D. Vediamo la prima professore: cosa possono fare Ilaria Salis e i suoi familiari?
R. La prima strada è il ricorso alla Corte europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU). Senza fare riferimento alle cimici nel letto o all'assenza di lenzuola pulite o altro - già, di per sé trattamenti inumani e degradanti - questa è una strada percorribile semplicemente per il fatto che Ilaria Salis sia stata presentata in catene come un cane - come ha detto suo padre - non solo in tribunale ma anche davanti agli organi di stampa, il che potrebbe essere considerato un fattore aggravante perché, poi, quelle immagini hanno fatto il giro del mondo.
D. Le foto della Salis in tribunale con le catene e il guinzaglio sarebbero, dunque, sufficienti?
R. Sì, sono sufficienti. Perché diverse sentenze della Corte europea dei Diritti dell'Uomo hanno già posto in evidenza il divieto di presentare in un tribunale un imputato già in catene e in condizioni che ledono la dignità umana, dal momento che dovrebbe trattarsi di un presunto innocente fino a sentenza definitiva. Quindi, in questo caso, si potrebbe configurare una violazione dell'Art. 3 della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo che, appunto, vieta atti di tortura nonché trattamenti inumani e degradanti.
D. Perché, allora, non è stato ancora fatto?
R. Non è stato ancora fatto perché questa procedura ha un limite: può essere attivata solo dopo che sono stati esauriti tutti i procedimenti interni. In altre parole, Ilaria Salis, prima di poter presentare questo ricorso alla CEDU, deve esperire tutti i gradi di giudizio in Ungheria, arrivando a una sentenza definitiva. Tuttavia, va detto che ci sono delle circostanze in cui questa regola dell'obbligo di esperire tutti i ricorsi interni può subire delle eccezioni.
D. In quali casi?
R. Per esempio, laddove si dimostri che il sistema ungherese non sia imparziale o i ricorsi disponibili non siano effettivi. In questo caso, si potrebbe fare immediatamente ricorso alla Corte, quindi già adesso. Certo, è difficile provare che il sistema ungherese non dia possibilità effettive di ricorso.
D. Senza contare, professore, che è stato detto più volte, anche dal ministro degli Esteri Tajani, che non si vuole "indispettire" il giudice. Quindi, forse questa procedura non è stata attivata proprio per questo rischio?
R. Credo che il motivo sia che questa strada, al momento, si presenti obiettivamente in salita.
Le altre due strade percorribili chiamano direttamente in causa il governo italiano e un suo ruolo più attivo nella vicenda.
Tuttavia, il professor Zuccari chiarisce come la prima di queste due opzioni sia difficilmente percorribile, in quanto rischierebbe seriamente di compromettere le relazioni tra i due Paesi. Si tratta dell'istituto della 'Protezione diplomatica' e il docente la illustra in questi termini:
D. Questo, però, andrebbe a compromettere inevitabilmente i rapporti tra i due Stati...
R. Esattamente, il rischio sarebbe alto. Questa sarebbe la prima conseguenza, di natura strettamente politica, ed è una ricaduta molto grave. E, comunque, a questo motivo squisitamente politico si deve aggiungere un'altra questione, e cioè che anche per la Protezione diplomatica, come per un eventuale ricorso alla CEDU, si deve aspettare la conclusione di tutti i gradi di giudizio.
D. Quindi, su questa seconda possibilità non si può neanche fare il processo alle intenzioni al governo. Nel senso, l'esecutivo potrebbe stare prendendo in considerazione questa possibilità, ma non ora, solo a processo finito, giusto?
R. Precisamente. Il governo potrebbe attivare la Protezione diplomatica più avanti, ma non adesso. Anche in questo caso, come nel precedente, esiste la possibilità di dimostrare che i ricorsi disponibili in Ungheria non sono effettivi ma sono fittizi ma, oltre alla difficoltà di dimostrarlo, è superfluo sottolineare quanto questa mossa potrebbe avere delle conseguenze sulle relazioni con l'Ungheria...
Infine, il docente dell'Unicusano arriva a illustrare la via più percorribile, al momento, in merito a un possibile intervento del governo italiano sul caso della maestra di Monza, quella dell'Assistenza consolare:
D. Trattandosi dell'unica via praticabile nell'immediato, il governo italiano sembra essersi mosso in questo senso?
R. Sì, sotto questo profilo, qualcosa è stato fatto. A quanto mi risulta, il consolato italiano avrebbe partecipato alle udienze del caso e fatto visita in carcere a Ilaria Salis diverse volte, proprio per verificare le sue condizioni di detenzione.
D. È possibile solo questa azione di verifica? Non si potrebbe fare qualcosa di più incisivo?
R. Forse il governo italiano può perseguire questa strada in maniera più convinta. La verifica delle condizioni di detenzione, poi riportate al ministro degli Esteri e alla presidente del Consiglio, potrebbero essere utilizzate per fare pressione sul governo ungherese, o per intraprendere, in futuro, le strade che abbiamo visto in precedenza. Inoltre, il console può partecipare alle udienze e interloquire con le autorità giudiziarie e su chi gestisce direttamente il caso, per far sì che il processo e la detenzione di Ilaria Salis rispettino determinati standard, che sono quelli internazionali.
D. In questo senso, il console poteva intervenire - se non alla prima udienza, almeno alla seconda - per impedire che la Salis entrasse in tribunale in catene?
R. Durante lo svolgimento del processo temo sia difficile poter evitare una cosa simile. Di certo, alcune azioni possono essere fatte valere ora. Si può mettere in evidenza come quella condotta sia lesiva dell'Art. 3 della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo. In più, si potrebbe anche far notare che questa condizione contravviene anche una direttiva dell'Unione europea del 2016 sulla presunzione d'innocenza, secondo cui gli Stati membri debbono garantire che gli imputati non siano presentati come colpevoli, in tribunale o in pubblico, attraverso il ricorso a misure di coercizione fisica (manette, catene, ecc.)
Al professore di Diritto internazionale chiediamo, infine, quali margini ci possano essere per veder accolta la richiesta di arresti domiciliari presentata dai legali della cittadina italiana.
Il prof. Zuccari spiega che in merito rileva non soltanto una consolidata giurisprudenza della CEDU ma anche una recente raccomandazione della Commissione dell’Unione europea del dicembre del 2022 che invita espressamente gli Stati membri a ricorrere alla custodia cautelare solo come misura di ultima istanza. Si dovrebbero preferire le misure alternative alla detenzione, in particolare quando il reato è punibile solo con una pena detentiva breve o quando l’autore del reato è un minore.
Sono questi, infatti, i motivi addotti dal giudice ungherese per respingere la richiesta presentata nell'ultima udienza dai rappresentanti della Salis.
Tuttavia, il prof. Zuccari evidenzia come il caso di Gabriele Marchesi, anche lui coinvolto nella vicenda della Salis, che si è concluso con la negazione dell'estradizione in Ungheria da parte della Corte di Appello di Milano, possa offrire ulteriori spunti sulla base dei quali valutare il caso di Ilaria Salis.
Tuttavia, conclude il docente, per poter affermare questo principio è necessaria una valutazione molto approfondita del sistema penale ungherese e delle fattispecie di reato ascritte alla maestra di Monza.