"Paolo Rossi era un ragazzo come noi", recita la storica canzone "Giulio Cesare" di Antonello Venditti: il riferimento è allo studente diciannovenne che il 27 aprile di 58 anni fa, nel 1966, morì per mano fascista sulle scalinate della facoltà di Lettere alla Sapienza, dove oggi c'è una targa che lo commemora.
Paolo Rossi si era da poco iscritto alla facoltà di Architettura quando, il 27 aprile del 1966, fu brutalmente pestato da un gruppo di militanti fascisti della lista Primula Goliardica mentre distribuiva dei volantini in occasione delle elezioni per il rinnovo degli organismi rappresentativi studenteschi.
Aveva 19 anni e faceva parte del fronte della Gioventù socialista. Stando a quanto ricostruito in seguito, nel corso dell'aggressione fece un volo di almeno cinque metri dal muretto che delimitava le scale, morendo in ospedale dopo essere entrato in coma per il forte trauma cranico riportato.
Chi fu a provocarglielo non fu mai accertato: la prima inchiesta sulla morte del ragazzo venne archiviata; solo il 30 luglio del 1968, due anni dopo, si arrivò a una sentenza di omicidio preterintenzionale contro ignoti. Si stabilì, in pratica, che Rossi fosse morto ammazzato.
Ma furono ignorati i sospetti avanzati da alcune fotografie scattate durante il pestaggio, avvenuto, tra l'altro, sotto lo sguardo vigile degli agenti della polizia, autorizzati ad entrare in città universitaria dall'allora rettore Ugo Papi, di note simpatie fasciste. Fotografie che ritraevano alcuni degli esponenti di spicco del neofascismo romano.
Tra loro potrebbero celarsi gli assassini di Rossi. Forse le stesse persone che nella notte fra il 28 e il 29 aprile dello stesso anno aggredirono la figlia del deputato comunista Pietro Ingraio e due assistenti universitari.
Episodio che spinse gli studenti ad occupare tutte le facoltà della Sapienza e 51 docenti a scrivere una lettera all'allora Presidente della Repubblica, denunciando "la situazione di illegalità" che regnava "nella città universitaria" ad opera di "un'infima minoranza di teppisti".
Oggi nel luogo in cui Rossi fu ucciso c'è una targa che lo commemora. Come lo commemora la storica canzone "Giulio Cesare" di Antonello Venditti.
Diverso rispetto a quello di Paolo Rossi è il caso di Marta Russo, che sempre alla Sapienza trovò la morte trent'anni più tardi. Studentessa di Giurisprudenza, aveva 22 anni quando, il 9 maggio del 1997, fu raggiunta alla testa da un proiettile vagante mentre, insieme all'amica Jolanda Ricci, percorreva un vialetto interno della città universitaria.
A sparare il colpo, secondo quanto ricostruito nel corso delle indagini e del processo, fu l'assistente alla cattedra di Filosofia del diritto Giovanni Scattone, condannato a 5 anni e quattro mesi di reclusione per omicidio colposo aggravato dalla colpa cosciente insieme al collega Salvatore Ferraro, riconosciuto colpevole di favoreggiamento (e condannato a 4 anni e due mesi di reclusione).
Entrambi si sono sempre proclamati innocenti, dichiarandosi estranei ai fatti che portarono alla morte della giovane in ospedale. Fatti ancora ricordati da molti per la loro insensatezza. "Marta Russo ha elevato ad etica universale l’altruismo in una visione generosa dell’esistenza. Marta vive", recita la targa che la commemora alla Sapienza.
Allo stesso modo di Paolo Rossi, anche lei era, citando Venditti, una persona "come noi": una studentessa, una figlia, un'amica con tanti sogni e con ancora tutta la vita davanti. Il suo cuore, donato dai genitori a una paziente, non ha mai smesso veramente di battere.