La soccida semplice è un contratto agrario di tipo associativo, disciplinato dagli articoli 2170 e seguenti del codice civile italiano. In questo accordo, due parti – il soccidante e il soccidario – si associano per l'allevamento e lo sfruttamento di bestiame, condividendo i rischi e i profitti derivanti da questa attività. Il bestiame viene conferito dal soccidante e rimane di sua proprietà, mentre il soccidario si occupa della custodia e dell'allevamento secondo le direttive del soccidante.
La stima iniziale del bestiame include dettagli su numero, razza, qualità, sesso, peso ed età degli animali, oltre al prezzo di mercato. Questa valutazione è essenziale per determinare il prelevamento spettante al soccidante alla fine del contratto. Durante il contratto, il soccidante mantiene la proprietà del bestiame e fornisce mangimi e medicinali, mentre il soccidario si occupa dell'allevamento.
Il contratto di soccida semplice prevede che:
Il regime IVA applicabile alla soccida semplice segue quanto stabilito dall'articolo 34 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972. Questo regime speciale consente ai produttori agricoli, tra cui i soccidanti e i soccidari, di detrarre l'IVA sui prodotti agricoli derivanti dal comune esercizio dell'impresa di allevamento.
Secondo quanto stabilito dalle circolari n. 32 del 1973 e n. 48 del 1995, la fase costitutiva e quella estintiva della soccida semplice non rappresentano trasferimenti di proprietà e, quindi, non sono soggette all'IVA. Questo principio è confermato anche dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 987 del 2022, che ribadisce che entrambe le parti, essendo imprenditori agricoli, possono avvalersi del regime speciale di detrazione dell'IVA.
La Corte di Cassazione, nelle sentenze n. 987 del 2022 e n. 1146 del 2022, ha chiarito che il contratto di soccida si configura come un'impresa agricola associata. Entrambi i contraenti, il soccidante e il soccidario, sono considerati imprenditori agricoli e possono avvalersi del regime speciale di detrazione dell'IVA. La Corte ha sottolineato che la natura associativa del contratto implica la condivisione del rischio d'impresa tra le parti.
Per quanto riguarda le imposte dirette, l'attività del soccidante non può essere considerata come mero commercio di prodotti agricoli. La vendita degli animali è l'effetto finale di un'attività agricola associata svolta congiuntamente dalle parti. Pertanto, si applicano le disposizioni degli articoli 32 e 56 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), che regolano il reddito agrario e l'attività agricola in forma associata.
L'articolo 32 del TUIR specifica che il reddito agrario è costituito dalla parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale di esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati.
La circolare n. 44/E del 2004 chiarisce che le attività di conservazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti agricoli rientrano nel reddito agrario solo se riguardano prodotti propri. Se queste attività hanno per oggetto prodotti acquistati da terzi, generano reddito d'impresa, non reddito agrario.
La divisione dell'accrescimento degli animali è un atto dichiarativo dell'acquisto originario, che rappresenta una fruttificazione del diritto di proprietà del bestiame. Questo accrescimento, non essendo un trasferimento di proprietà, è considerato fuori campo IVA. Tuttavia, le cessioni successive dei prodotti derivanti dall'accrescimento sono soggette all'IVA.
Le cessioni possono avvenire in due modi:
Nel primo caso, entrambe le parti effettuano cessioni rilevanti ai fini IVA. Nel secondo caso, il soccidante effettua la cessione, mentre la somma corrisposta al soccidario è considerata come assegnazione di utili, quindi non soggetta a IVA.
La soccida monetizzata è una variante non disciplinata esplicitamente dal codice civile, ma frequentemente utilizzata nella prassi commerciale. In questo tipo di soccida, l'accrescimento degli animali non viene diviso in natura, ma liquidato in denaro. Il soccidante vende l'intero accrescimento e corrisponde una parte del ricavato al soccidario.
La Corte di Cassazione ha chiarito che la quota di accrescimento monetizzata non costituisce una cessione di beni ai fini dell'IVA, ma una suddivisione degli utili derivanti dall'attività agricola. Pertanto, la somma corrisposta al soccidario non è soggetta a IVA. Questo è stato confermato dalla sentenza n. 8727 del 2013, che ha sottolineato che la monetizzazione non può essere equiparata a una cessione di denaro o titoli di credito soggetta a IVA.
Le principali differenze tra soccida semplice e monetizzata risiedono nel metodo di ripartizione dell'accrescimento e nelle implicazioni fiscali. Nella soccida semplice, l'accrescimento è diviso in natura tra le parti e le successive cessioni sono soggette a IVA. Nella soccida monetizzata, l'accrescimento è liquidato in denaro e la somma corrisposta al soccidario è considerata come utile, non soggetta a IVA.