Il Tribunale di Urbino, con un’ordinanza del 7 giugno 2024, ha confermato la possibilità di utilizzare i messaggi WhatsApp per dimostrare diritti in cause civili o penali. Questa decisione si allinea con l'orientamento giurisprudenziale attuale, che riconosce anche il valore legale del messaggio vocale WhatsApp.
La Corte di Cassazione ha stabilito che i messaggi WhatsApp, inclusi audio, fotografie e video, possono essere considerati prove legali nei processi civili e penali. Questi contenuti rientrano nell'articolo 234 del codice di procedura penale, che permette l'acquisizione di documenti che rappresentano fatti, persone o cose tramite vari mezzi, inclusa la fonografia.
Nel caso specifico trattato dal Tribunale di Urbino, i messaggi WhatsApp hanno fornito la prova dell’esistenza di un’obbligazione. La difesa dell’opponente si è basata solo sull’eccezione di prescrizione, ma il giudice ha ritenuto dimostrato il diritto dell’attore grazie alle comunicazioni WhatsApp. Per verificarne l’autenticità, il giudice ha nominato un consulente tecnico d’ufficio (CTU).
L’articolo 2712 del codice civile stabilisce che ogni rappresentazione meccanica di fatti e cose forma piena prova se non viene contestata la conformità. Questo principio si applica ai messaggi WhatsApp, considerati rappresentazioni meccaniche delle conversazioni. Inoltre, l’articolo 2719 del codice civile prevede che le riproduzioni fotografiche di documenti hanno la stessa efficacia probatoria degli originali, se non contestate.
Per dimostrare la genuinità dei messaggi WhatsApp, si possono utilizzare vari metodi:
Riepilogando, la giurisprudenza della Cassazione ha chiarito che i messaggi WhatsApp hanno valore probatorio se supportati dai dispositivi informatici contenenti le conversazioni (sentenza della Corte di Cassazione n. 49016/2017). Questo richiede spesso una perizia tecnica per confermare l’autenticità e l’integrità delle comunicazioni digitali. Nel caso esaminato, come scritto, la nomina di un consulente tecnico d’ufficio (CTU) ha permesso di acquisire il dispositivo contenente i messaggi e di verificare l’autenticità e il contesto temporale delle conversazioni. Questo passaggio è fondamentale per garantire che le prove digitali siano trattate con lo stesso rigore delle prove fisiche.
I messaggi vocali di WhatsApp, al pari di quelli testuali, possono essere utilizzati nei processi. La parte che possiede la chat dovrà farla trascrivere da un perito, che attesterà l’autenticità rispetto al file originale. Inoltre, è consigliabile produrre una chiavetta USB con il file salvato. Per garantire che non vi siano alterazioni, il giudice può disporre una consulenza tecnica d’ufficio sullo smartphone contenente la chat. Il CTU acquisirà i dispositivi delle parti e valuterà l’esistenza e la genuinità delle conversazioni, trascrivendole nella perizia da consegnare al giudice. Se una delle due parti ha cancellato la chat, ciò non costituirà un problema poiché la copia permane sull’altro dispositivo.
Gli screenshot dei messaggi WhatsApp possono essere presentati come prova, ma la loro validità può essere contestata. La legge italiana li considera rappresentazioni meccaniche, simili a fotocopie di documenti. Tuttavia, se la controparte non contesta o riconosce la veridicità dello screenshot, il giudice può accettarlo come prova autentica. La Cassazione ha chiarito che la semplice contestazione non è sufficiente: la parte che solleva dubbi deve fornire una spiegazione convincente sul perché ritiene che l’immagine digitale non sia autentica.
Nei casi di molestie e atti persecutori, qualsiasi comportamento che rappresenti un'intrusione non autorizzata nella sfera privata e nelle relazioni della vittima, creando un ambiente intimidatorio e ostile, è considerato reato. La sentenza del 28 luglio 2023, n. 32946, della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, ha condannato un uomo per stalking per aver inviato un messaggio WhatsApp contenente materiale sessuale riguardante la vittima. La Corte ha ribadito che l'invio di messaggi telematici, inclusi SMS e WhatsApp, costituisce molestia. Le azioni dell'imputato, eseguite tramite l'invio di foto e video a sfondo sessuale, sono state considerate un'indebita intromissione nella sfera di libertà individuale della vittima e una grave violazione della sua privacy.