La Risposta n. 143/2024 dell'Agenzia delle Entrate riguarda il regime del carried interest, una forma di compenso azionario riservata a manager e dipendenti di aziende, regolato dall'articolo 60, comma 1, del decreto legge n. 50/2017. Questo documento analizza il trattamento tributario dei proventi derivanti dalle azioni carried detenute dai soggetti istanti in una complessa operazione di leveraged buyout (LBO).
L'articolo 60, comma 1, del decreto legge n. 50/2017, stabilisce che i proventi derivanti dalla partecipazione in azioni con diritti patrimoniali rafforzati, se percepiti da dipendenti e amministratori di società o enti, sono considerati redditi di capitale o redditi diversi, a condizione che vengano soddisfatti specifici requisiti:
Il comma 3 dell'articolo 60 chiarisce che, per determinare l'importo minimo dell'investimento richiesto, si deve considerare anche l'ammontare sottoscritto in azioni senza diritti patrimoniali rafforzati. Questo allineamento tra manager e altri investitori in termini di interesse alla remunerazione e rischio di perdita del capitale investito è essenziale per classificare i proventi come redditi di natura finanziaria.
Il parere n. 143/2024 dell'Agenzia delle Entrate affronta la situazione in cui gli istanti hanno sottoscritto azioni con diritti patrimoniali rafforzati della società controllante e successivamente è stato deliberato un ulteriore aumento di capitale. Questo aumento include azioni senza diritti patrimoniali rafforzati, offerte a nuovi investitori. Gli istanti chiedono se il requisito dell'investimento minimo dell'1% può essere considerato soddisfatto tenendo conto sia dell'investimento diretto in azioni carried sia dell'investimento indiretto tramite altre partecipazioni.
Gli istanti propongono che, per verificare il rispetto del requisito dell'investimento minimo, si debba considerare l'intero investimento, sia diretto che indiretto. Questo approccio permetterebbe di includere sia l'investimento in azioni carried sia quello in azioni senza diritti patrimoniali rafforzati, detenute indirettamente tramite la partecipazione in altre società.
L'Agenzia delle Entrate conferma che, in base al comma 3 dell'articolo 60, si può considerare anche l'investimento indiretto per determinare il rispetto del requisito dell'1%. Pertanto, gli eventuali redditi derivanti dal possesso delle azioni carried saranno inquadrabili come redditi di natura finanziaria.
La circolare 16 ottobre 2017, n. 25/E, chiarisce che la presenza di clausole di good o bad leavership può influenzare la qualificazione dei proventi come redditi di capitale o redditi collegati alla prestazione lavorativa. In particolare, la detenzione di strumenti finanziari da parte di manager anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro è un indicatore della natura finanziaria del reddito.
La detenzione di strumenti finanziari con le medesime caratteristiche da parte di altri soci e l'adeguata remunerazione dell'attività lavorativa sono indicatori della natura finanziaria dei proventi. Inoltre, l'esposizione al rischio di perdita del capitale investito è rilevante per determinare la natura finanziaria dei redditi. Al contrario, pattuizioni che riducono il rischio per i manager contrastano con la qualificazione dei proventi come redditi di capitale.
Gli investimenti dei manager devono essere adeguati in base agli aumenti di capitale successivi. Questo adeguamento garantisce il mantenimento dell'allineamento di interessi e rischi tra manager e investitori. La necessità di adeguamento si applica entro la chiusura dell'esercizio in cui è stato effettuato l'investimento da parte di terzi.
Nel caso degli istanti, l'aumento di capitale comporta la necessità di riparametrare l'investimento iniziale sul nuovo valore economico del patrimonio netto della società controllante. Questo adeguamento è fondamentale per continuare a soddisfare il requisito dell'investimento minimo dell'1%.