Eliana Liotta, giornalista, è la voce del benessere di cui avevamo bisogno, in un mondo che corre veloce e che sacrifica tutto anche in nome della produttività. Oggi che il fare è più importante dell'essere, l'autrice con "La vita non è una corsa", ricorda l'importanza di fermarsi. Il libro inizia così: «In quest’epoca trafelata, fermarsi un poco appare un atto rivoluzionario». Ecco cos'ha dichiarato l'autrice in un'intervista, in esclusiva, per TAG24.IT
«Perché non sappiamo più apprezzare le pause, pensiamo che siano una perdita di tempo. Associamo la produttività alla virtù e le soste al peccato, alla pigrizia, alla debolezza della volontà. Per gli antichi non era così. Cicerone elogiava l’otium come momento elevato da contrapporre al negotium, agli affari pubblici e sociali: riteneva indispensabile ritagliarsi uno spazio da dedicare alla lettura, al suo orto, alle riflessioni tra sé e sé la nostra vita non può essere un fracasso, dovrebbe alternare suoni e silenzi come la musica di Beethoven o di Bach. Imparare a dosare i vuoti e i pieni è la via più semplice per ridurre il rischio di ammalarsi, per rasserenarsi, per non sentirsi cronicamente stanchi».
«Insieme agli specialisti dell’Università e dell’Ospedale San Raffaele di Milano ho identificato quattro tipi di soste che ciascuno può sperimentare. Ci sono le pause previste dalla nostra stessa natura, secondo i nostri bioritmi, dal sonno regolare ai digiuni tra un pasto e l’altro, dai bagni di sole al movimento (che è la pausa dalla sedentarietà). La seconda categoria comprende tutte le pause dei pensieri lenti, che coinvolgono le qualità cognitive superiori e che sono i più affidabili: se non vogliamo essere travolti dal caso ma tentare di governare il nostro destino, se cerchiamo un equilibrio tra lavoro e vita privata, dobbiamo stare innanzitutto con noi stessi e riflettere la terza pausa è sentimentale e costruisce i nostri legami con gli altri, il fondamento della felicità e anche della salute fisica, perché la solitudine fa star male. Per finire, le pause che io definisco non negoziabili. Ognuno ha le proprie, personalissime».
«Ci fa bene tutto quello che allontana lo stress. Cito, tra i tanti, uno studio recentissimo. Da un’analisi pubblicata su una rivista prestigiosa, Cell Metabolism, emerge che il relax, psicologico e fisico, si riverbera addirittura a livello cellulare, del Dna. In estrema sintesi, i ricercatori hanno confermato che lo stress grave provoca un aumento dell’età biologica, mentre il riposo inverte il decadimento delle cellule potremmo dire che prendersi una pausa ringiovanisce».
«Una volta si parlava di psicosomatica per spiegare come gli eventi della psiche si riverberassero sul corpo. Oggi se ne occupa una disciplina medica, la neuroendocrinologia, che studia i rapporti tra il sistema nervoso e il sistema deputato alla produzione ormonale, endocrino: in parole semplici, le sensazioni, la fatica o la tensione sono input nervosi che portano alla secrezione di ormoni, i quali hanno effetti sul nostro corpo e sui nostri comportamenti. Quando siamo stressati, circola tanto cortisolo, che è un immunosoppressore. Ma se circola a lungo, le difese si abbassano e si diventa più suscettibili ai malanni, come sa chi soffre di recidive dell’herpes labiale quando è sotto stress. Il cortisolo, oltretutto, incentiva il deposito di grasso nell’addome e può portare a desiderare cibi calorici, perché interferisce con l’ormone che smuove l’appetito, la grelina. Quando si dice la fame nervosa».
«Sì. Faccio un esempio: il sonno. Oggi i bambini e i ragazzi dormono quasi un’ora e mezzo in meno dei coetanei del secolo scorso, ed è una gara insensata tra manager e politici a chi resta più in piedi. Andrebbero riletti i risultati di uno studio che calcola in percentuale il pericolo del passare notti risicate: chi ha più di 50 anni e dorme cinque ore, o meno per notte corre un rischio di ammalarsi di patologie croniche superiore del 30-45 per cento rispetto ai coetanei che di ore ne dormono sette. C’è un motivo se passiamo un terzo della nostra vita dormendo».
Ph di Maki Galimberti, Eliana Liotta
«Per noi Sapiens è vitale, nel senso proprio del termine, stare con le persone che amiamo, con gli amici. L’invito è a prendersi pause per coltivare i rapporti con le altre persone. Se il lavoro ci impedisce di farlo, è tossico. La socialità è un pilastro evolutivo, ci definisce: due terzi del nostro cervello si sono sviluppati quando abbiamo cominciato a intessere relazioni profonde con i nostri simili. Stare con le altre persone fa bene alla salute, non solo al cuore».
«Con tre tipi di riposo: attivo, creativo e spirituale. Ci fa bene non rimuginare sulle stesse fissazioni e un primo modo facile per uscirne è l’esercizio fisico, che ci allontana dai pensieri circolari. Un altro è la lettura, perché i libri sono come picconi che aprono varchi nei nostri muri mentali, oppure lo stupore mentre si assiste a un’opera d’arte. E c’è l’astrazione dalle nostre faccende spicce, ricercando il senso di appartenenza a qualcosa di più grande di noi, che sia il pianeta o il volontariato. Quando ci accorgiamo che viaggiamo sul binario solitario del nostro Io, guardiamo fuori dal finestrino, scendiamo dal treno e sentiamo il respiro del mondo».
«Concentrarsi su un’attività per volta. L’abitudine di smanettare sul cellulare mentre si guarda un film o di mandare messaggi interrompendo il lavoro è deleteria: ci rende stressati e lenti, imprecisi e sbadati. Il multitasking, tanto celebrato, in realtà non esiste perché il cervello non sa fare più cose in simultanea. Con la neuropsicologa del San Raffaele Federica Alemanno abbiamo analizzato gli studi più interessanti sul tema. In sostanza, quando saltiamo da un’occupazione all’altra, si zittisce un circuito e si attiva una nuova strada neurale, come le luci intermittenti di un albero di Natale non si tratta di multitasking bensì di task-switching, di cambio di attività. Il problema è che il passaggio rapido da un gruppo di neuroni a un altro ha un costo cognitivo, perché ogni rimbalzo somiglia al motore di un’auto che si è spento e deve riaccendersi».