17 Feb, 2025 - 17:52

Tamerlano, l’Alessandro Magno d’Oriente, fra mito e storia

Tamerlano, l’Alessandro Magno d’Oriente, fra mito e storia

La sera del venticinque di shaʽbān del Settecentotrentasei (dell’Egira, corrispondente all’ 8 Aprile 1336) nell’anno del Topo secondo il calendario mongolo, … mise al mondo il sole dell’esistenza di Sua Eccellenza, il Signore della Congiunzione Astrale (Ṣāḥib-qirān) dal prospero oroscopo, facendo riverberare i propri raggi sulla Luna piena che illuminava il mondo della sua fausta casa astrale.

Quel Signore della Congiunzione Astrale fu nient'altro che Timur Ghurkan, il celeberrimo condottiero che seppe conquistare il Centro Asia in trentasei anni, rendendo la sua figura leggendaria e pari a quella di Alessandro Magno. Nel volume Tamerlano. Il conquistatore delle steppe che assoggettò l'Asia dando vita a una nuova civiltà (Salerno editore, 2024), Michele Bernardini elabora una puntuale decostruzione del mito di Timur, ridefinendo la vicenda del condottiero mongolo in modo scientificamente rigoroso. Le fonti storiche sia coeve sia successive erano intrise di propaganda, arma formidabile che già Timur in persona seppe utilizzare. La sua stessa data di nascita fu ufficializzata dalla cronaca che lui diede ordine di compilare. Bernardini ricorda che sulla prima parte della vita del sovrano le fonti tendono alla leggenda e all'iperbole, ma dalla sua ascesa al potere nel 1370 si trasformano in precisissimi resoconti. Bernardini ha saggiamente cominciato la sua trattazione con la storia della riesumazione dei resti inumati nel maestoso mausoleo del Gur-e-Amir, il Mausoleo di Timur. Le ossa ritrovate recano tracce di infortuni e patologie simili a quelle di cui si diceva soffrisse il condottiero. Forse un primo dato certo sulla storia di questa figura? Probabilmente sì. È infatti questo uno degli aspetti ricorrenti dell'opera di Bernardini: continuamente decostruisce le fonti, facendo attenzione specialmente ai vari elementi propagandistici sedimentati su Timur, per primo dallo stesso sovrano, come forma di autolegittimazione.

Bernardini decide di ripartire dal principio, tentando di portare luce su molte delle questioni che circondano Timur: le sue origini, la sua discendenza e la natura caduca delle sue. Rispetto ad esempio a quest'ultima, è convincente la spiegazione fornita dall’autore sulla natura e concezione del potere nella Weltanschauung nomade mongola: l'entità politica dell'ulus (nome mongolo indicante un’entità politica) non era necessariamente legata a un luogo; al contrario, molti principi mongoli percepivano come loro "territorio" solo la propria sella. Quest'excursus è dirimente nel momento in cui s'affronta la questione delle origini di Timur: lui per primo spese molte energie affinché fossero chiarite una volta per tutte. Sulla figura del padre di Timur non vi sono dubbi: costui fu Taraghay Barlas, il quale discendeva da un'antica famiglia che aveva servito Chinggis Khān. Ma perché Timur mostrò nella sua vita questa forte preoccupazione riguardo alle proprie origini, spesso discutendo di genealogia? La spiegazione, sostiene Bernardini, è proprio in ciò che questa necessità nasconde: le sue origini furono effettivamente umili. A conferma di ciò l'adozione del titolo di amir (comandante militare) e quella di küregen ossia di "genero del sangue reale", associandosi così alle dinastie regnanti ma non iscrivendosi in esse. Il titolo di küregen lo assunse allorquando sconfisse i potenti cosiddetti ciagataici (discendenti da uno dei figli di Chinggis Khān, Chagatai, il nome del quale corrispose un'entità politico-statuale in Centro Asia), prendendone in sposa le figlie. Fu questo un atto fondativo fondamentale per Timur, sostiene Bernardini, ancor più delle sue conquiste: innalzava la sua discendenza al rango delle più vetuste e prestigiose dinastie mongole, cosicché ai suoi figli l'ascesa al titolo di re (khān) fosse priva di qualunque dubbio. Da una di queste mogli "reali" Timur ebbe Jāhāngir, figlio prediletto proprio poiché incorporava l’unione del sangue di Timur con quello di Chinggis Khān.

Bernardini è abile nel trasportare il lettore in questo mondo leggendario: è impossibile, anche nelle ricostruzioni scientifiche, non percepire l'immenso fascino della figura di Timur, che aumenta allorché vengono dischiusi i significati e i riferimenti culturali del mondo nomade, purtroppo noto perlopiù per la sua ferocia e violenza. Il risultato è una ricostruzione storiografica capace di mettere in condizione il lettore di costituirsi un'idea chiara della complessità di quel mondo da un lato, mentre dall'altro di essere consapevole delle inesattezze o mistificazioni presenti nelle narrazioni. In particolare su Timur, una figura che ha subito numerose aggiunte fantastiche con il passare dei secoli. Ne è un esempio lampante la vicenda che vede protagonisti Timur e il sultano Ottomano Bayezid I, della prigionia del quale esistono numerose versioni in linea con le necessità politiche dell'epoca: un Timur che avrebbe liberato il mondo dal flagello dei Turchi sconfiggendo il regno Ottomano e rendendolo suo vassallo era una speranza che accomunò umanisti quali Enea Silvio Piccolomini con vari diplomatici spagnoli. Nemmeno la modernità si è tirata indietro nell'investire Timur di nuovi significati e gesta: in Uzbekistan è considerato il padre della patria, ci riferisce Bernardini, proprio mentre l'impianto urbano di Samarcanda veniva smantellato, cancellandone così la memoria degli interventi del suo sovrano più celebre.

In Tamerlano Bernardini, oltre a ricostruire con rigore assolutamente scientifico la vicenda storica altrimenti frammentaria di Timur, dimostra in primis come lo studio delle fonti, la loro euristica, sia assolutamente imprescindibile nell'approcciare la trattazione della storia. In secundisl’autore fornisce al lettore gli strumenti per disinnescare le ricorrenti manipolazioni di figure del passato da parte del presente, che a volte cerca di accreditarsi attraverso una ricostruzione capziosa del passato e della tradizione.  

Matteo Libanora Vassalli

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Redazione Tag24
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