Jesse Owens è stato molto più di un atleta: è stato un simbolo di resistenza e coraggio in un’epoca segnata da discriminazioni e ideologie razziste. Nato il 12 settembre 1913 a Oakville, in Alabama, Owens crebbe in condizioni di estrema povertà, essendo il settimo di dieci figli in una famiglia di mezzadri afroamericani. Fin dalla giovane età dovette lavorare nei campi di cotone per aiutare la famiglia a sopravvivere, sperimentando le difficoltà della segregazione razziale nel profondo Sud degli Stati Uniti.
Il suo talento per l’atletica non emerse subito, ma durante l’adolescenza, quando la famiglia si trasferì a Cleveland, Ohio, in cerca di migliori opportunità economiche. Qui, sotto la guida di allenatori scolastici che riconobbero il suo potenziale, Owens iniziò a distinguersi nelle competizioni di atletica leggera, abbattendo record scolastici e attirando l’attenzione nazionale. Grazie alla sua incredibile velocità e determinazione, ottenne una borsa di studio per l’Università dell’Ohio, dove affinò le sue capacità nonostante le discriminazioni razziali che lo costringevano a vivere separato dagli altri atleti bianchi.
Ma il momento che lo consacrò alla storia arrivò nel 1936, quando vinse quattro medaglie d’oro ai Giochi Olimpici di Berlino, sfidando apertamente la propaganda nazista e dimostrando che il talento non ha colore. Oggi, a 45 anni dalla sua scomparsa, il mondo continua a ricordarlo come una delle figure più iconiche dello sport.
Jesse Owens morì esattamente 45 anni fa, in Arizona, all’età di 66 anni. Il caso curioso, come spesso è accaduto nel mondo dello sport, è che un atleta che ha passato la vita a correre sia morto dopo una lunga battaglia contro un tumore ai polmoni. C'è da aggiungere, però, che dopo (se non durante) la sua carriera ad alti livelli, Owens divenne un fumatore accanito: la malattia lo colpì in maniera aggressiva, portandolo alla morte in pochi mesi.
Nonostante il suo straordinario contributo allo sport, Owens dovette affrontare difficoltà finanziarie dopo il ritiro dalle competizioni. Negli anni successivi alle Olimpiadi, gli fu negata la possibilità di sfruttare il suo talento in maniera professionale, a causa delle rigide regole amatoriali dell’epoca e della discriminazione razziale ancora radicata nella società americana. Per sopravvivere, fu costretto a esibirsi in eventi sportivi non convenzionali, tra cui, addirittura, gare contro cavalli da corsa. Solo negli anni '60 il governo americano iniziò a riconoscere il suo valore, nominandolo ambasciatore di buona volontà per promuovere gli ideali di uguaglianza e sportività nel mondo.
Il momento più iconico della carriera dell'atleta di Oakville arrivò durante le Olimpiadi di Berlino del 1936, come in molti ricordano: un evento che Adolf Hitler intendeva utilizzare per dimostrare la presunta superiorità della razza ariana, come del resto facevano molti dittatori del tempo. Owens, invece, sbaragliò la concorrenza vincendo quattro medaglie d’oro nei 100 metri, 200 metri, salto in lungo e staffetta 4x100. La sua performance fu straordinaria: non solo vinse, ma stabilì nuovi record olimpici e mondiali, lasciando il pubblico e gli organizzatori tedeschi senza parole.
La leggenda vuole che Hitler, contrariato dalle vittorie dell’atleta afroamericano, abbia lasciato lo stadio per non stringergli la mano. Tuttavia, Owens stesso smentì questa storia nella sua autobiografia, affermando che non ci fu alcun rifiuto esplicito, ma che il Führer evitò di congratularsi con qualsiasi atleta non tedesco. In realtà, Owens ricevette più rispetto in Germania che nel suo stesso paese: al suo ritorno negli Stati Uniti, non fu invitato alla Casa Bianca e continuò a subire la segregazione razziale, nonostante fosse diventato l’uomo più veloce del mondo.
Il successo di Owens non fu solo sportivo, ma anche politico e sociale. In un’epoca in cui la segregazione razziale era una realtà tanto negli Stati Uniti quanto in Europa, la sua vittoria rappresentò un duro colpo alle ideologie razziste. Anche se non si considerava un attivista, il suo trionfo mise in discussione il concetto stesso di superiorità razziale e contribuì a cambiare la concezione del razzismo nel mondo dello sport.