Con la fine della tregua a Gaza, l’operazione militare israeliana si è intensificata estendendosi rapidamente su gran parte dell’enclave palestinese. Le recenti manovre, oltre a ridefinire il controllo territoriale, lasciano intravedere un disegno più ampio che va oltre la pressione su Hamas: uno spostamento strutturale delle linee, dei confini e delle vite.
Con la fine del cessate il fuoco a Gaza, Israele ha raddoppiato la sua presenza nell'enclave. La tregua nella Striscia era entrata in vigore il 19 gennaio. La prima fase ha avuto una durata di 42 giorni e ha permesso il rilascio di 33 ostaggi israeliani e di oltre mille prigionieri palestinesi.
Parallelamente, i palestinesi sfollati all’interno dell’enclave hanno avuto la possibilità di trasferirsi dal sud verso le loro abitazioni a nord. Durante questo periodo, Israele e Hamas avrebbero dovuto concordare la fase successiva della tregua, prima di arrivare al ritiro delle truppe israeliane dal territorio palestinese.
Le speranze di una pace nell'enclave sono svanite con una nuova ondata di violenza. Il 18 marzo, le forze israeliane hanno lanciato attacchi aerei su larga scala. La strategia di Tel Aviv è stata annunciata inizialmente come una forma di pressione su Hamas finché non fossero liberati tutti gli ostaggi. Il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, ha anche minacciato di sequestrare il territorio palestinese in caso i prigionieri non fossero stati rilasciati.
Pochi giorni dopo, l'esercito israeliano ha ordinato l'evacuazione del sud di Gaza. L'operazione di terra è stata così estesa fino alla zona della città di Rafah. La rinnovata escalation si è rivelata più aggressiva. Il 2 aprile è stato annunciato che vaste aree del territorio palestinese sarebbero state sequestrate e incluse nelle zone di sicurezza israeliane e l'esercito di Tel Aviv ha schierato ulteriori forze nella zona.
Dopo aver rilanciato le operazioni militari, Israele controlla oltre il 50 per cento della Striscia di Gaza. Il Paese ha quindi ampliato la sua zona cuscinetto. La Striscia è di fatto divisa dal Corridoio Netzarim al nord e dal Corridoio Morag al sud.
I gruppi per i diritti umanitari denunciano le demolizioni all’interno dell'enclave che rendono il territorio inabitabile. L'amministrazione di Benjamin Netanyahu giustifica le azioni sostenendo che l'obiettivo è quello di fare pressione su Hamas.
Sebbene Tel Aviv giustifichi la nuova ondata di attività militare a Gaza con l’obiettivo di aumentare la pressione su Hamas e intensificare il controllo di sicurezza sulla Striscia, gli analisti indicano che queste azioni suggeriscono una strategia di lungo termine.
L'espansione della zona cuscinetto israeliana provoca un ulteriore sfollamento dei palestinesi e la distruzione dei terreni agricoli nel territorio palestinese. I timori, quindi, si concentrano sul fatto che si potrebbe trattare di uno sfollamento permanente.
L'approccio adottato dal governo Netanyahu, inoltre, trova un ampio sostegno dall’ultradestra israeliana. Netanyahu, tra l'altro, sostiene anche il piano di Trump per il progetto di "migrazione volontaria" dei civili di Gaza.
Il presidente statunitense considera Gaza “un’incredibile e importante proprietà immobiliare” come affermato a margine dell’incontro con Netanyahu. Vorrebbe quindi costruire un resort nel territorio palestinese dopo il trasferimento dei suoi abitanti. Sebbene i Paesi arabi si siano dichiarati contrari al piano, recentemente l’Indonesia si è fatta avanti per accogliere temporaneamente i palestinesi vulnerabili.
Mentre le operazioni militari israeliane continuano, la prospettiva di un ritorno alla normalità per Gaza appare sempre più distante. Il controllo crescente del territorio da parte di Israele e i progetti politici collegati alimentano i timori di una trasformazione irreversibile della Striscia non solo dal punto di vista geopolitico ma anche umano.