21 Apr, 2025 - 12:15

Dopo la morte di Papa Francesco: come la destra globale usa la fede per riscrivere la politica

Dopo la morte di Papa Francesco: come la destra globale usa la fede per riscrivere la politica

Bandiere a mezz'asta, messaggi di cordoglio da tutto il mondo, parole commosse da parte di chi, credente o no, riconosceva in Papa Francesco una guida capace di parlare al cuore delle persone. Il pontefice si è spento oggi 20 aprile 2025 lasciando un vuoto spirituale, ma anche simbolico e politico.

Perché Francesco, da sempre considerato il "Papa degli ultimi", ha incarnato una visione di fede aperta, inclusiva, in dialogo con il mondo. Una visione però oggi sempre più sotto attacco. 

Papa Francesco ha detto: "Non costruite muri, ma ponti". È questo che rischia di mancare oggi: una voce capace di usare la fede per avvicinare, non per separare, che guardi alla religione non come strumento di potere ma per esaltare la propria spiritualità.

Il pellegrinaggio politico di Vance: "Visitare Roma un'esperienza incredibile"

Non è un caso che chi lo ha più criticato - da alcuni ambienti ultraconservatori statunitensi al premier ungherese Orbàn - oggi pianga la sua morte senza però rinunciare a portare avanti un'idea di Chiesa più autoritaria, militante e identitaria. In una sola parola: profondamente politica.

Negli ultimi anni la religione, in particolar modo quella cristiana, è diventata sempre più un asset elettorale. Non solo più fede personale, ma simbolo di appartenenza, arma culturale, leva di consenso. Succede negli USA di Donald Trump, dove la destra ha spinto fino in fondo l'uso politico del cristianesimo, ma anche nell'Italia di Meloni e Salvini, nella Francia di Le Pen e nell'Ungheria di Orbàn.

Il volto più recente di questa trasformazione è J.D. Vance, il vicepresidente statunitense di Trump. A Pasqua è stato a Roma, ha partecipato alla liturgia in San Pietro e poi ha incontrato Meloni, Tajani e Salvini. Un'agenda spirituale? Forse. Ma anche un messaggio politico ben preciso: rilanciare l'alleanza fra Italia e Stati Uniti non solo su basi economiche, ma anche culturali, religiose e ideologiche.

Vance non è solo un politico: è un convertito al cattolicesimo, un fan dichiarato dell'"opzione Benedetto" (ritirarsi in comunità di fede per resistere alla modernità) e un critico della secolarizzazione. Nei suoi discorsi parla di "resistenza", ma non alla guerra: alla cultura dei diritti, al femminismo e al liberalismo.

Un'America più cattolica (ma solo per alcuni)

Con Trump, il cristianesimo è diventato una narrazione identitaria. I giudici cattolici da lui nominati alla Corte Suprema - Alito, Barrett, Kavanaugh - sono stati decisivi nell'abolire il diritto federale all'aborto. E lo stesso Trump, poco praticante ma molto strategico, ha saputo utilizzare la religione come grimaldello per parlare a una parte dell'America spaventata dai cambiamenti.

Vance ne è un'evoluzione: è più ideologo che showman. L'idea di fondo però è la stessa: la fede come risposta semplice a un mondo complesso, la nostalgia per un ordine perduto, il bisogno di un nemico da combattere: migranti, atei, cultura woke, attivisti per i diritti.

Orbàn, Meloni e Salvini: il "partito della cristianità"

Questa visione di riflette anche in Europa. Salvini ha fatto del rosario un simbolo di partito, Meloni parla spesso di "radici cristiane" dell'Europa, evocando un'identità da difendere contro le "derive" laiciste. E nel dialogo con Vance e Trump ha trovato un nuovo lessico comune: quello della civiltà cristiana.

Il caso ungherese è quello più estremo: Orbàn ha costruito un intero regime sui valori "cristiani" usati per giustificare politiche anti-LGBTQIA+, leggi contro l'aborto, emendamenti contro il dissenso. Non è un caso che molti intellettuali cattolici conservatori americani, da Rod Dreher in giù, lo vedano come un modello.

Nel tempo delle croci sventolate come bandiere, l'assenza di Bergoglio rischia di diventare una cesura. Ma anche un'occasione: per ricordare che Dio non ha bisogno di partiti. E che la religione, se vuole restare umana, deve imparare a non farsi coinvolgere nelle campagne elettorali.

I tre punti salienti dell'articolo

  • L’eredità spirituale e politica di Papa Francesco - La morte di Papa Francesco lascia un vuoto non solo spirituale, ma anche simbolico e politico. Il pontefice ha rappresentato una visione inclusiva e dialogante della fede, oggi messa in discussione da una crescente strumentalizzazione religiosa in chiave politica.

  • La nuova “teopolitica” della destra globale - La destra internazionale – da Trump e Vance negli USA a Meloni, Salvini e Orbán in Europa – sta trasformando la religione cristiana in un simbolo identitario, un’arma culturale contro i diritti civili e un collante ideologico per rafforzare il consenso.

  • Fede come strumento di potere o via di fratellanza? - Il rischio attuale è che la religione venga sempre più usata per dividere anziché unire. L’eredità di Francesco – “Costruite ponti, non muri” – rappresenta un monito contro l’uso politico della fede, e un invito a riscoprire la spiritualità come spazio di accoglienza, non di esclusione.

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Pasquale Narciso
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