29 Apr, 2025 - 17:29

Lavoro e carcere: un fragile ponte verso la libertà

Lavoro e carcere: un fragile ponte verso la libertà

Un carcere non è fatto soltanto di mura e celle. Spesso è un microcosmo che racchiude e allo stesso tempo amplia le diseguaglianze e le problematiche presenti all'esterno, sgretolando e facendo sbiadire le identità di chi vi è ospitato. Esiste un filo, però, che potrebbe unire il dentro e il fuori: il lavoro.

Non di tipo afflittivo, che aggiunge un ulteriore perdita di dignità alla già grave mancanza di libertà personale, ma un lavoro che rispettando i dettami della Costituzione dà dignità e una motivazione per alzarsi la mattina a chi vi partecipa.

Nonostante le promesse e i tentativi di riforme negli anni, tante associazioni e attivisti hanno denunciato che i lavori nelle carceri italiane sembrano appannaggio di pochi, stretti fra scarsità di risorse e una mentalità da sfruttamento che persino lo Stato sembra voler applicare.

Fra luci e ombre, fra esperienze che funzionano e storie di riscatto personale, cosa succede nelle carceri d'Italia?

Lavorare in carcere, un diritto a metà 

Il lavoro in carcere è una scommessa sul futuro, non soltanto dei singoli ma anche della società più in generale. Esistono esperienze virtuose che hanno trasformato celle in laboratori o carceri in aule universitarie, ma il quadro più generale racconta di un sistema che arranca. Anche se in tanti non lo credono, i diritti delle persone possono esser negoziati anche dietro le sbarre.

Tanto ruota attorno a una domanda, che riguarda anche chi vorrebbe abolire in toto il carcere: vogliamo istituti penitenziari che puniscono o che ricostruiscono una persona? Il binomio carcere-lavoro ha origini antiche e in Inghilterra e nei Paesi Bassi la detenzione per i "devianti" (prostitute, ladri, vagabondi, mendicanti) era una macchina per piegarli alla morale borghese e per avere manodopera a basso costo.

Il lavoro quindi non era solo un mezzo per risparmiare sui salari, ma un mezzo per forgiare l'individuo e inculcargli l'idea del sacrificio e della produttività.

Fra punizione e redenzione, la situazione delle carceri italiane

La Costituzione del 1948 in Italia ha provato a cambiare la prospettiva. Gli articoli 3, 4 e 27 parlano chiaro: il lavoro è un diritto, un mezzo per partecipare alla società più ampia e le pene devono tendere alla rieducazione. La riforma del 1975 ha poi indicato che il lavoro non deve essere afflittivo, ma remunerato e soprattutto deve preparare i detenuti al reinserimento sociale, alla vita di fuori.

Queste, purtroppo, rischiano di restare soltanto belle parole. Su oltre 60mila detenuti, oggi ne lavora uno su tre, circa 20mila persone. L'85% di queste è alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria per lavare pavimenti e indumenti, distribuire pasti alla mensa: attività lavorative che poco preparano al futuro reinserimento in società.

Meno del 5% lavora per imprese o cooperative private e ancora meno in settori quali l'artigianato, l'agricoltura o l'informatica. La retribuzione media, nel 2014, era di 7.300 euro lordi l'anno, cioè 600 euro al mese per chi lavora a tempo pieno. In realtà, in tanti lavorano come part-time e sotto un'incessante turnazione: da un lato a più detenuti è garantito un accesso al lavoro, dall'altro così si abbassa la qualità del lavoro e la retribuzione per ciascuno.

Il lavoro intramurario è quello più comune: un detenuto lavora all'interno del carcere, inserito in graduatorie gestite da commissioni interne, che decidono a loro volta chi lavora, per quanto tempo e quando. Il lavoro rappresenta così una moneta di scambio per chi si comporta bene in cella, portando al rischio di abusi e favoritismi (come raccontato da diverse esperienze).

Dalle cooperative alle disuguaglianze: luci e ombre del lavoro in carcere

Naturalmente non ci sono solo aspetti negativi ed esistono esperienze che hanno messo al centro il detenuto nella sua dignità di persona. Le cooperative sociali, come quelle aderenti a Confcooperative Federsolidarietà, sono un esempio positivo: impiegano oltre 1500 detenuti ed ex detenuti in settori come la pasticceria, l'agricoltura o l'informatica.

Altre esperienze come "Lazzarella" a Napoli e "Giotto" a Padova non solo danno lavoro, ma creano competenze e legami con il territorio. Il risultato è che la recidiva si riduce al 10% per chi segue percorsi strutturati, dal 70% di chi non lo fa. Tra il 2022 e il 2024, poi, i corsi professionali sono passati da 148 a 310, con un aumento del 140% degli iscritti.

Se si parla di carceri italiane, però, non si può fare a meno della situazione di allarme cronico che politici e non denunciano da anni. Il sovraffollamento incide per il 130% sulle carceri, rendendo difficile organizzare attività lavorative. La burocrazia poi soffoca le imprese che vorrebbero investire: i requisiti di sicurezza, gli spazi inadeguati e la mancanza di formazione scoraggiano i privati.

Esistono anche le disparità territoriali: se in Lombardia e in Sicilia si lavora di più, in Trentino e in Friuli Venezia Giulia quasi niente. Solo il 6% dei detenuti accede alla formazione professionale, mentre la formazione digitale e universitaria è concentrata in poche regioni.

I tre punti salienti dell'articolo

  • Il lavoro in carcere come strumento di riabilitazione - Il lavoro in carcere non dovrebbe essere una forma di punizione, ma un'opportunità per il reinserimento sociale dei detenuti, come stabilito dalla Costituzione e dalle riforme del 1975. Nonostante le buone intenzioni, oggi solo un detenuto su tre lavora, e spesso il lavoro è poco qualificato e mal retribuito, con un accesso limitato a esperienze professionali reali.

  • Le esperienze positive e i progressi in alcune carceri - Esistono realtà virtuose in cui il lavoro e la formazione professionale offrono una vera chance di riscatto, riducendo la recidiva e favorendo il reinserimento sociale. Le cooperative sociali e i corsi di formazione, specialmente in ambito artigianale e agricolo, sono esempi di come il lavoro in carcere possa diventare un motore di cambiamento per i detenuti.

  • Le difficoltà del sistema penitenziario italiano - Nonostante i progressi, il sistema carcerario italiano è ostacolato dal sovraffollamento, dalla burocrazia e dalle disparità territoriali. Le condizioni di vita nelle carceri, insieme alla scarsa disponibilità di risorse, rendono difficile offrire un lavoro qualificato e un percorso di riabilitazione efficace per i detenuti, limitando la possibilità di un reinserimento positivo nella società.

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Pasquale Narciso
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