06 May, 2025 - 15:43

Referendum 8-9 giugno: tutti al mare o tutti a votare? La lezione di Craxi e le paure del governo

Referendum 8-9 giugno: tutti al mare o tutti a votare? La lezione di Craxi e le paure del governo

L'8-9 giugno 2025 i cittadini e le cittadine italiani sono chiamati alle urne per esprimersi su cinque quesiti referendari, quattro dei quali legati al mondo al lavoro e uno sulla cittadinanza. Quesiti che toccano nervi scoperti nella vita quotidiana di tante persone in Italia: l'integrazione di 2,5 milioni di stranieri che vivono e lavorano qui, la precarietà e le morti sul lavoro.

Dai partiti di maggioranza, però, è arrivata un'indicazione chiara: i loro elettori dovrebbero scegliere l'astensione. "Non votate, andate al mare", un invito che ricorda quello che nel 1991 il socialista Bettino Craxi rivolse in vista di un altro referendum, ma finendo travolto da un sentimento di contestazione che poco dopo sfociò in Tangentopoli.

Se la maggioranza scommette sul silenzio, le opposizioni gridano alla morte della democrazia. Il segretario della CGIL Maurizio Landini ha addirittura parlato di "un'offesa verso Mattarella", dicendosi però sicuro che il quorum verrà raggiunto. Chi avrà ragione?

Il governo tifa astensione sui referendum, Landini: "Un'offesa verso Mattarella e la democrazia"

Al centro delle polemiche politiche ci sono dichiarazioni che provengono da diversi esponenti della maggioranza. La più rilevante è sicuramente quella di Antonio Tajani, vicepremier e ministro degli Esteri. Il leader di Forza Italia invita gli elettori a non andare alle urne, evidenziando come i referendum dell'8-9 giugno non rispondano adeguatamente a problemi complessi come la sicurezza sul lavoro e la cittadinanza.

Un documento interno a Fratelli d'Italia ha chiesto ai suoi eletti di scegliere l'astensione, affinché il quorum del 50% più uno non venga raggiunto: in tal caso i referendum non avrebbero validità. 

I promotori referendari scelgono di ribattere a questi inviti al non voto. Riccardo Magi di +Europa bolla come "vergognosa" la richiesta giunta dagli esponenti del governo, indicando che questi preferisce il silenzio elettorale al dibattito politico. Maurizio Landini va, dal canto suo, dritto al punto: è "un errore politico" e "un pericolo per la democrazia" invitare a disertare le urne.

Il sindacalista richiama le parole che Sergio Mattarella, presidente della Repubblica, ha usato questo 25 aprile: una democrazia funziona quando l'astensionismo viene combattuto.

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Ricordo che il presidente della Repubblica, in occasione del 25 aprile ha ricordato a tutti che il voto e la partecipazione politica sono la base della nostra democrazia e della nostra libertà e ha chiesto a tutti di lavorare per contrastare l'astensionismo grandissimo che c'è e che è segno della crisi della nostra democrazia. Trovo singolare che chi ha la responsabilità politica di rappresentarci tutti abbia paura di un voto.

Astensione, fra diritto e fuga

La sensazione è che la maggioranza voglia spegnere il dibattito, trasformando i referendum in un nemico da combattere e non in un'occasione di dibattito pubblico. Il quorum è sì una sfida, ma non impossibile: la raccolta firme ha già dimostrato che l'entusiasmo può prendere piede e diffondersi fra gli elettori.

Sullo sfondo, un Paese dove l'astensionismo è già un'emergenza, con sondaggi che danno una partecipazione al 40% e una campagna referendaria che stenta a decollare (a tal proposito, l'Agcom ha chiesto ai media italiani di impegnarsi per far conoscere le ragioni dei referendum alla cittadinanza italiana).

Esistono ragioni a favore e contro l'astensionismo? Sì, come in tante cose della vita: ascoltando i membri della maggioranza, astenersi dal voto significa difendere le leggi esistenti ed evitare referendum demagogici. Forza Italia ha ricordato la sua proposta per modificare la legge sulla cittadinanza, mentre Galeazzo Bignami di FdI indica che nel 2003 la sinistra promosse l'astensionismo quando si parlava di modificare l'articolo 18.

Il senatore e vice capogruppo vicario di Forza Italia a Palazzo Madama, Adriano Paroli, ha fatto suo questo tipo di ragionamento e indicato che anche non presentarsi alle urne può essere considerato un atto politicamente valido:

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La scelta di astenersi al referendum è legittima e non c'entra nulla con l'astensionismo alle elezioni. Chi non è d'accordo con i quesiti referendari e non li ha promossi, è evidentemente libero di scegliere la strada che più ritiene opportuna, compresa l'astensione.

Dal lato delle opposizioni, i toni più duri sono quelli anche di Arturo Scotto del Partito Democratico: un ministro che invita a non votare è diseducativo e acuirebbe la già bassa partecipazione elettorale in Italia. Chi propone i referendum afferma che con tre morti sul lavoro al giorno e milioni di stranieri esclusi dalla cittadinanza il governo non potrebbe proprio permettesi una tale melina.

Il precedente di Craxi nel 1991: "Andate al mare"

Visto che il precedente del giugno 1991 è stato evocato più volte in quest'articolo, è bene ricordare anche cosa successe in quell'anno. Il referendum sulla preferenza unica, promosso dal democristiano Mariotto Segni e da altri 30 esponenti della cultura e politica italiana, era nell'aria. Fra i vari partiti contrari al referendum (la stessa DC, pezzi del PDS, il PRI) si distinse la posizione del segretario socialista Bettino Craxi.

"Una truffa", referendum "inutile" e "incostituzionale": parole nette e poi suffragate da un invito che immaginava gli italiani disinteressati a ciò che stava succedendo, "Andate al mare". 27 milioni di elettori, cioè il 62,6% dei votanti, si presentarono alle urne, approvando il quesito con il 95,6% di sì e mandando in frantumi la preferenza plurima.

Con il senno di poi, alcuni indicarono che - a voler essere onesti - tanti elettori non avevano compreso per cosa si andasse a votare, trasformando la giornata del 9 giugno 1991 in un giudizio negativo contro la classe politica di allora.

Il parallelo con quanto accade oggi è invitante: Craxi sottovalutò la voglia di cambiamento di gran parte dell'Italia, mentre la maggioranza attuale fa affidamento su elezioni con sempre meno votanti e quorum difficili da raggiungere. Ignorare però la partecipazione, in un momento in cui il Paese chiede risposte su cittadinanza e lavoro, potrebbe rappresentare un grave errore strategico.

I tre punti salienti dell'articolo

  • Riassunto in 3 punti dell’articolo:Referendum su lavoro e cittadinanza l’8-9 giugno: Gli italiani voteranno su cinque quesiti referendari, quattro relativi al lavoro (precarietà, sicurezza, morti sul lavoro) e uno sulla cittadinanza (riduzione da 10 a 5 anni per richiederla). La maggioranza di governo invita all’astensione per far fallire il quorum.

  • Scontro politico sull’astensione: Esponenti di governo, tra cui Tajani, promuovono il non voto, considerandolo legittimo; opposizioni e sindacati (CGIL, +Europa, PD) denunciano un sabotaggio della democrazia e citano il Presidente Mattarella, che ha richiamato all’importanza della partecipazione politica.
  • Il precedente di Craxi e il rischio di sottovalutare il malcontento: Come nel 1991, quando l’invito di Craxi all’astensione si ritorse contro di lui, anche oggi il governo potrebbe sbagliare i calcoli, ignorando il potenziale di mobilitazione popolare su temi caldi come lavoro e integrazione.
     
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Pasquale Narciso
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