Con l’aumento dell’età pensionabile previsto dal 2027 e il clima sempre più teso sul fronte previdenziale, l’INPS potrebbe convalidare un nuovo modello pensionistico che consente l’uscita a 64 anni, ma con una liquidazione parziale dell’assegno. Tuttavia, lo scenario che si delinea non è dei più rassicuranti: la riforma delle pensioni sembra allontanarsi sempre di più dalle aspettative dei lavoratori.
Nonostante siano attive alcune opzioni di pensionamento anticipato, come l’uscita a 62 anni o quella a 64, il sistema continua a basarsi saldamente su due pilastri: la pensione di vecchiaia ordinaria e la pensione anticipata ordinaria. Le alternative per smettere di lavorare prima restano limitate e riservate a categorie specifiche considerate meritevoli di tutela. Quanto alla tanto discussa "Quota 41 per tutti", sembra ormai essere uscita definitivamente dal dibattito politico e non riveste più alcun ruolo rilevante nelle proposte di riforma.
Oltre agli obiettivi di crescita economica, il governo Meloni punta a introdurre nuove misure previdenziali, o quantomeno a rendere sostenibili nel medio-lungo periodo quelle già esistenti. Tra le ipotesi più discusse figura il congelamento dell’età pensionabile a 67 anni, evitando così l’adeguamento automatico di tre mesi legato all’aspettativa di vita. Se questa misura non dovesse concretizzarsi, potrebbe segnare una svolta tutt’altro che positiva per molti lavoratori.
Il sistema previdenziale italiano resta saldamente ancorato alla legge Fornero. Nonostante i vari interventi succedutisi nel tempo, la sua struttura è pensata per garantire la sostenibilità della spesa pubblica. Ogni proposta che si discosta da questo principio rischia infatti di essere accantonata.
Negli ultimi anni, però, è emersa una chiara volontà politica di introdurre maggiore flessibilità in uscita. Misure come Quota 102 ne sono un esempio: il lavoratore può decidere se andare in pensione prima, accettando un assegno mensile più basso, oppure continuare a lavorare con uno stipendio leggermente più alto.
Questa non è l’unica opzione disponibile. Esistono oggi diverse formule di pensione anticipa a 64 anni che consentono di uscire prima dal mondo del lavoro, ma sempre a fronte di una riduzione dell’importo mensile erogato dall’INPS. Il problema principale resta il metodo di calcolo contributivo, ormai prevalente, che si basa esclusivamente sul totale dei contributi versati, penalizzando i redditi medio-bassi e chi ha avuto carriere lavorative discontinue.
La pensione anticipata, quindi, è strettamente legata a penalizzazioni economiche che persistono fino al raggiungimento dell’età e dei requisiti ordinari per la pensione di vecchiaia.
La realtà è un’altra: se da un lato il sistema previdenziale sembra offrire una maggiore libertà di scelta, dall’altro questa libertà è fortemente limitata da compromessi economici. Uscire prima dal lavoro significa quasi sempre ricevere un assegno più basso, e non si tratta solo della penalizzazione di oltre 30% che, per anni, ha colpito le lavoratrici che hanno scelto l’uscita flessibile anticipata. È su questi aspetti che ogni lavoratore dovrebbe riflettere con attenzione prima di prendere una decisione definitiva.
Come riportato da brocardi.it, i dettagli sulla prossima riforma delle pensioni stanno emergendo con maggiore chiarezza. Tra le ipotesi più discusse, spicca la possibilità di andare in pensione a 64 anni con una liquidazione parziale del trattamento previdenziale, limitata esclusivamente alla quota contributiva.
La parte più delicata riguarda invece la componente retributiva, che verrebbe erogata solo al raggiungimento dei 67 anni. In pratica, chi sceglie di anticipare il pensionamento riceverebbe subito solo una parte dell’assegno, mentre la quota calcolata secondo il sistema retributivo resterebbe congelata per alcuni anni.
Non si tratta di una semplice formalità: le future pensioni potrebbero risultare più penalizzanti rispetto a quelle attuali. La penalizzazione, seppur temporanea, colpirebbe infatti tutti coloro che decidono di lasciare il lavoro prima dell’età ordinaria di vecchiaia.
Questa opzione potrebbe interessare anche i lavoratori che hanno maturato contributi prima del 1996, ovvero quelli soggetti al sistema misto (retributivo + contributivo). In questo senso, il governo potrebbe "ripescare" una formula già vista in passato, cercando un compromesso per garantire un’uscita flessibile ma sostenibile per le casse pubbliche.
La nuova misura potrebbe entrare in vigore già dal 2026 o, più probabilmente, dal 2027, in concomitanza con l’aumento automatico dell’età pensionabile legato all’aspettativa di vita.