Lavoro e felicità vengono spesso considerati due termini agli opposti. Si può amare il proprio lavoro, avere piacere nel fare qualcosa da cui deriva il proprio sostentamento, ma allo stesso tempo tanti elementi rendono l'attività lavorativa stressante e stancante.
Il tempo è uno di questi. Ha destato un certo interesse la decisione da parte del governo spagnolo, guidato dal socialista Pedro Sánchez, di iniziare l'iter legislativo per abbassare le ore lavorative settimanali da 40 a 37,5 senza toccare gli stipendi. Un sogno per tanti, anche qui in Italia, dove le retribuzioni negli anni non sono riuscite a tenere il passo dell'inflazione.
In un'era di stress e precarietà, il tempo libero è un bene prezioso che il lavoro rischia di erodere (o ha già eroso, come ci insegna il caso della Corea del Sud). Ridurre l'orario lavorativo restituisce tempo per vivere, non soltanto per produrre.
Il Consiglio dei Ministri spagnolo ha approvato ieri 6 maggio 2025 il progetto di legge che riduce la settimana lavorativa a 37,5 ore, a parità di salario. Un risultato del quale va molto fiera la vicepremier Yolanda Dìaz (del partito Sumar), che ha spiegato come sia fondamentale assicurare la felicità dei lavoratori e delle lavoratrici spagnoli.
La misura interesserà 12,5 milioni di persone e mira anche ad altri risultati di rilievo nel mondo del lavoro: garantire il diritto alla disconnessione, una migliore conciliazione fra vita privata e lavoro e la riduzione dell'assenteismo. La riforma - per ottenere ciò - chiede la creazione di un registro digitale per tracciare le ore lavorative, minacciano multe fino a 10mila euro se qualche lavoratore bara.
"Mentre qui da noi Meloni dà letteralmente i numeri sul lavoro, in Spagna il premier Pedro Sanchez ha appena approvato in Consiglio dei ministri la riduzione dell’orario settimanale di lavoro da 40 a 37 ore e mezzo, a parità di stipendio.
— ????️sservaMy????️☮️???????? (@OsservaMy) May 6, 2025
E ora toccherà al Parlamento. pic.twitter.com/tyVJlotBOP
Anche le imprese e le aziende rischiano multe, ma legate alla loro dimensione e al loro fatturato. Naturalmente non tutti sono rimasti contenti della proposta. Il Partito Popolare e le associazioni di categoria, prefigurano un costo per le aziende di 24 miliardi euro, mentre Cepyme aumenta la stima fino a 48 miliardi.
Un altro rischio paventato è che settori come l'ospitalità, comunicazione, commercio e agricoltura soffrano dei danni maggiori, perché le giornate lavorative in quegli ambiti lavorativi spesso eccedono le 37,5 ore. L'obiettivo di Sánchez è quello di approvare la misura entro il 31 dicembre 2025, ma i popolari e i partiti Junts e Vox già hanno promesso di battagliare in Parlamento per bloccare questo cambiamento.
Una riduzione dell'orario lavorativo sarebbe una misura che aiuterebbe anche le fasce più svantaggiate: più tempo per le donne significa meno gap salariale, più opportunità per i giovani di costruirsi un futuro.
Spostandoci in Corea del Sud la situazione è opposta. Le aziende di microchip e di semiconduttori vogliono far pesare la loro importanza non soltanto economica ma anche politica, chiedendo ai politici tre anni di flessibilità sul limite legislativo di 52 ore lavorative fino a 64 ore. Il risultato? Il presidente ad interim Choi Sang-mok ha concesso sei mesi di deroga nel 2024, vedendo come il settore dei semiconduttori avesse fatturato oltre 600 miliardi di dollari.
La propuesta de Yolanda Díaz para reducir la jornada laboral a 37,5 horas semanales sin bajar el sueldo suena bien, pero tiene consecuencias que muchas veces no se explican del todo.
— Doctora Cristina Martín Jiménez (@crismartinj) May 6, 2025
1. Si se trabaja menos, se produce menos.
A menos que las empresas consigan hacer lo mismo en… pic.twitter.com/gOuQPMvJZa
La competizione con la Cina si fa sempre più serrata e serve l'apporto di tutti. In nome della competitività globale, è giusto sacrificare i propri concittadini? L'etica del lavoro, molto forte in Giappone e Corea del Sud, non è un vezzo né una curiosità culturale: è un'emergenza che tanti politici e aziende occidentali sembrano anzi guardare con invidia.
Chi si oppone ad allungare ulteriormente le ore lavorative ricorda come il tasso di fertilità coreano sia uno dei più bassi fra i paesi sviluppati (0,75 nel 2024): lavorare di più non solo renderebbe le persone più infelici, ma porterebbe a una popolazione coreana dimezzata entro il 2100.
Oggi, tra straordinari non pagati e precarietà, il tempo è di nuovo sotto attacco. Molti dei diritti dei lavoratori sono stati erosi nel corso degli anni dalla poca incisività dei sindacati e da riforme politiche di stampo neoliberista. Anche in Italia la situazione è grave, anche se non come in Corea del Sud: si lavora (mediamente) tanto, ma anche male.
In media si lavora 1723 ore all'anno, contro le 1356 della Germania: il lavoro precario e straordinario colpisce in particolare le donne, andando ad ampliare un gender pay gap già grave nei loro confronti. In Italia alcune proposte avanzate dalle opposizioni giacciono nelle Commissioni che si occupano dell'argomento, senza che l'attuale governo mostri particolare voglia di cambiare lo stato delle cose.
Breve e triste ritratto di una società capitalistica suicida: la Corea del Sud.
— Alessandro Leonardi (@AleEquilibrium) April 14, 2025
Per "competere meglio" in questi tempi turbolenti, il governo ha approvato l'incremento dell'orario lavorativo - fino a 64 ore settimanali- per certi settori cruciali hi-tech, mentre la nazione
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Una panoramica del genere, che mostra modelli lavorativi ben diversi fra loro (Italia, Spagna e Corea del Sud), ci ricorda che il lavoro è anche una questione culturale. Benessere fisico e mentale sono al centro non soltanto della proposta legislativa spagnola, ma anche dei progetti pilota in Italia (come Luxottica e Intesa San Paolo) e di quelli già pronti in Belgio e in Islanda, mentre la competitività è evocata continuamente in Corea del Sud, Giappone e Cina.
La redistribuzione del lavoro risponde a un bisogno sociale: le persone non sono robot, vogliono tempo per amare, creare o solo per poltrire. Come ha detto la spagnola Yolanda Díaz, “nessuno osa opporsi a un po’ di felicità”. O almeno, non dovrebbe.
Spagna pioniera: il governo Sánchez ha approvato la riduzione della settimana lavorativa a 37,5 ore senza tagliare gli stipendi, per migliorare il benessere e i diritti dei lavoratori.
Il contrasto coreano: in Corea del Sud, l'orario si allunga per restare competitivi, aggravando il malessere sociale e il calo demografico.
L’Italia immobile: mentre altri Paesi sperimentano nuovi modelli, da noi si lavora troppo e male, con precarietà diffusa e zero riforme all’orizzonte.